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100 giorni di diabete in giro per il mondo

100 giorni di diabete in giro per il mondo
EnglishCento giorni in giro per il mondo con il mio compagno di viaggio da una vita: il diabete. Si è comportato bene, non mi ha fatto dannare. Grazie al dott. Genovese, responsabile dell’u.o. di diabetologia e malattie metaboliche dell' IRCCS Multimedica di Milano, che mi segue dall’inizio dell’avventura, alla mia partenza mi è stato fornito un apparecchio per il monitoraggio continuo della glicemia Abbott Freestyle Navigator che genera un grafico chiamato AGP rivelatosi molto utile. Il grafico riporta i dati di 14 giorni di misurazioni in un giorno “tipo” (lo strumento misura la glicemia ogni minuto). Si possono vedere la mediana delle glicemie e due aree, una in blu più scuro che include i valori dal 25° a l 75° percentile che rappresenta la variabilità della glicemia, e una più chiara che include i valori dal 10° al 90° percentile, ovvero i valori eccessivi sia verso l’alto sia verso il basso.Sono partito che pesavo circa 81 chilogrammi e con una emoglobina glicata pari a 7,6 in discesa rispetto all'ultimo controllo. Il mio profilo glicemico vedeva una mediana buona, ma migliorabile, con picchi soprattutto dopo cena, a causa dei troppi “saluti” prima della partenza. Inoltre tale profilo era dovuto alla mia vita bancaria di allora e difatti sedentaria.A tal proposito il dott. Genovese commentava: "Oltre ai picchi glicemici alla sera dopo cena chedeterminavano un aumento della mediana anche durante la notte, era eccessiva la variabilità glicemica al mattino"Già poche settimane dopo la partenza avevo visto i primi miglioramenti e soprattutto un profilo glicemico diverso rispetto al passato. Avevo aumentato l'attività fisica camminando tanto tutti i giorni, inoltre stavo cambiando le mie abitudini alimentari in virtù del viaggio: ora la colazione non era più dettata da tempi serrati e potevo permettermene una molto più abbondante e varia, privilegiando uova con pane tostato e un succo d'arancia. I pranzi sono diventati più leggeri e mai ad orario fisso, dando priorità alle tempistiche dettate dal viaggio rispetto alla fame. La sera invece mi sono spesso concesso un piatto locale tipico che fosse il più completo possibile. In Russia ogni menù presentava, oltre al prezzo e alla descrizione del cibo, il suo peso, pertanto gestire il diabete e le glicemie é stato quasi un gioco da ragazzi. Ero all'inizio del viaggio, con l'entusiasmo alle stelle, sono sempre stato in forma ed elettrizzato quindi mi concedevo spesso la sera una birretta.Ancora una volta ecco il commento del dott. Genovese: "La mediana delle glicemie alla seraera elevata anche se con meno variabilità!Le colazioni forse erano un po’ troppo ricche di carboidrati e diverse una dall’altra perché c’erano mediana e variabilità elevate a metà mattina" In Mongolia, a causa di un cavo di alimentazione difettoso mi è andato in tilt l'apparecchio per il monitoraggio continuo della glicemia e così sono dovuto tornare alle vecchie misurazioni manuali.Sono arrivato in Cina dopo circa venti giorni e qui l'incognita più grande è stata la scelta dei cibi e comprenderne la loro composizione. Ho ordinato spesso a caso dai menù dei ristoranti e quindi ho dovuto gestire le glicemie con correzioni post prandiali in virtù degli eventuali aumenti glicemici. In Cina con le sue incognite riguardanti il cibo l'apparecchio per il monitoraggio continuo sarebbe tornato molto utile. Il cibo era molto vario e spesso squisito, inoltre ho ritrovato finalmente la frutta e la verdura fresca, dimenticate in Mongolia e in Russia. La dott.ssa Bosetti, nutrizionista all’Ospedale Sacco di Milano, con cui sono sempre stato in contatto costante grazie a whatsapp e mail mi ha dato una grossa mano per valutare i cibi e i relativi indici glicemici. Sono riuscito a mantenermi su buoni livelli anche se talvolta la variabilità è stata troppo elevata. Fortunatamente si trovavano spesso i noodles che sono simili ai nostri spaghetti, tante zuppe gustose e riso al vapore.Dopo circa quaranta giorni sono arrivato in Tibet la cui incognita più grande è stata l'altitudine in quanto ero costantemente sopra i 4000 metri, ma il diabete non pare averne risentito affatto. Ecco il commento del dott.Genovese al riguardo: "Il diario delle glicemie mostrava troppe ipoglicemie post-prandiali ed eccessiva variabilità soprattutto al mattino al risveglio. Invece prima di cena le glicemie erano più stabili" In Nepal invece mi sono fermato due mesi  per prestare servizio in un orfanotrofio. Mi trovavo in in un piccolo villaggio ai piedi del parco naturale di Shivapuri a circa due ore dalla capitale Kathmandu. Qui la mia vita è diventata rurale e basica, così come l'alimentazione. Vista la difficoltà a procurarsi della carne che al villaggio era un vero e proprio lusso sono diventato vegetariano, complici anche i miei compagni di casa i quali lo erano già da diversi anni. Tante verdure di stagione come verza, pomodori, cetrioli, melanzane e peperoni. Mango, mele e banane come frutta. La sera eravamo soliti mangiare in orfanotrofio e si trattava sempre di Dal Bhat, ovvero riso bollito con verdure stufate e zuppetta di legumi. Proprio i legumi si sono rivelati una piacevole scoperta. A colazione riuscivo sempre a cucinarmi due uova mentre a pranzo spesso era l’occasione per un po' di pasta all'italiana! Alcolici e carne eliminati, oltre a grassi condimenti e fritti.In Nepal ho recuperato l'apparecchio per il monitoraggio continuo della glicemia che prontamente mi era stato spedito dal Abbott Italia.I profili glicemici evidenziavano una mediana migliore anche se le glicemie apparivano ancora un po' troppo variabili. Purtroppo il cibo dell'orfanotrofio è molto basico e spesso di cattivo gusto quindi mi capitavano lievi ipoglicemie serali che ho corretto eccessivamente onde non incorrere in fastidiose ipoglicemie notturne.In questo caso il dott.Genovese commentava: "Una mediana delle glicemie più bassa, ma tanta variabilità imputabile a una difficile gestione dei boli di insulina rapida" Mi sono asciugato molto e ho scoperto di aver perso circa 6 chilogrammi dalla partenza. I dosaggi di insulina sono diminuiti di circa il 30% e mi sentivo in gran forma. Ho quindi effettuato un trekking impegnativo sull'Annapurna, ma riuscendo a gestire le glicemie molto bene proprio grazie al sistema di monitoraggio continuo che mi avvisava per tempo di eventuali cali glicemici a cui rimediavo con degli ottimi chapati e frutta fresca. La difficoltà più grande avuta in questi primi giorni è stata tuttavia il corso di meditazione Vipassana effettuato tra il novantesimo ed il centesimo giorno. Si è trattato di un corso durissimo in cui si arrivava a meditare fino a 14 ore al giorno. Vigeva la regola del silenzio nobile ovvero il divieto di parlare o di comunicare in qualsiasi altro modo. Non ho potuto pertanto gestire il diabete con sensori e apparecchio poiché avrebbero distratto la meditazione. Ho optato quindi per il ritorno alle misurazioni manuali e ad una scorta di zucchero sempre in tasca. Non sono riuscito ad accordarmi col dottore per una terapia ad hoc a causa delle scarse connessioni internet e per il divieto di avere con se strumenti di comunicazione. Mi sono pertanto armato di buon senso e attenzioni.La sveglia era alle 4 del mattino, ma la colazione veniva servita alle 6,30. Alle 11 vi era l'unico pranzo della giornata poiché non era prevista cena, ma solo una piccola merenda composta da frutta e riso soffiato alle 5 del pomeriggio. La paura delle ipoglicemie notturne era tanta pertanto i primi giorni mi sono mantenuto molto basso con i dosaggi, probabilmente troppo poiché avevo scordato che, a causa della meditazione, non avrei compiuto alcuna attività fisica durante il giorno. Se con il pranzo ero ampiamente rodato in quanto sempre Dal Bhat, la colazione era tutti i giorni diversa e basata essenzialmente su cereali bolliti e zuppe di legumi. Ho scoperto che il riso bollito nel latte è buonissimo, ma non fa bene al diabete, quella mattina glicemia alle stelle!! Dopo i primi giorni di ambientamento  a variabilità elevata ho trovato il mio equilibrio e sono riuscito a portare a termine il corso con successo. Essendo una meditazione basata sull'osservazione delle sensazioni nel corpo ho trovato facilità nel fare progressi quotidiani proprio grazie al diabete e al fatto che da ben 24 anni sono abituato ad ascoltare il mio corpo per prevenire e gestire ipo e iper glicemie. Infine tal proposito il dott. Genovese commentava: "Dopo il corso di meditazione una buona mediana delle glicemie durante il giorno fino alle prime ore della notte con tendenza al rialzo nelle prime ore del mattino.Molto ridotta la variabilità glicemica."Arrivato al centesimo giorno le glicemie erano molto meno varie e la mediana si è confermata buona. Confido pertanto in un costante miglioramento dei miei valori glicemici nel prosieguo della mia avventura.Il viaggio in solitaria implica inevitabilmente maggiori attenzioni e soprattutto un dialogo costante con il proprio corpo. Aiuta a tenere presente molti aspetti legati all'alimentazione e il cambio delle abitudini non solo alimentari. Ritengo che alcune iperglicemie siano dovute proprio al fatto di evitarsi fastidiose ipoglicemie di difficile gestione quando si è soli "sulla strada". Questo sistema di monitoraggio continuo mi ha aiutato tuttavia tantissimo e ha semplificato la gestione quotidiana del mio compagno di viaggio. ***************************I spent over one hundred days around the world with my lifelong travelling companion: the diabetes. It behaved well. I never had any serious problem. Thanks to dr. Genovese - head of the diabetes and metabolic diseases U.O. at Multimedica IRCCS in Milan - who has been monitoring me since the beginning of this adventure, I was provided with a Abbott Freestyle Navigator device for continuous glucose monitoring, which turned out to be very useful. It generates a graph called AGP: the graph shows the data of 14 days of measurements in a day "type" (the instrument measures the blood glucose levels every minute). There is a median blood glucose and two areas, one in a darker blue that includes the values ​​from the 25th to 75th percentile represents the variability of blood glucose, and a lighter one that includes the values ​​from the 10th to the 90th percentile: the excessive values ​​either upward or downward.I left Italy in May. I weighted about 81 kilograms and I had a glycated hemoglobin value of 7.6, which was already decreased if compared to the one I had during the latest control. The median of my glycemic profile was good, but it could have been better. There were too many peaks, especially after dinner because of the too many "greetings" I did before my departure. Furthermore, this profile was caused by my sedentary life in the bank where I worked.In this regard, Dr. Genovese commented: "In addition to blood sugar high levels in the evening after dinner determined an increase in the median during the night, there was excessive glycemic variability in the morning"Just after a few weeks since I left, I noticed an initial improvement. In particular, my glycemic profile was different from the one I had in the past. As I was increasing physical activity by walking so much every day, I was also changing my eating habits by virtue of my journey. My breakfast was no longer impacted by a frenetic schedule and I was able to have a more generous and various meals. My favourite one was eggs with toast and orange juice. At lunch, my meals became lighter and there were never at the same time as I was privileging my journey schedule rather than my own hunger. In the evening, I often allowed myself a typical local dish that would be as complete as possible. In Russia, in addition to the price and the description, every menu presented the food weight. Consequently, it was very easy to manage diabetes and blood sugar levels. At the time, I was at the beginning of my trip. My enthusiasm was through the roof. I was always in shape and thrilled, and I drank some beer in the evening at times.Once again, here is the comment of dr. Genovese: "The median blood glucose in the evening was high although with less variability! Breakfasts were perhaps a bit too rich in carbohydrates and different from each other because there were middle and high variability in the mid-morning "When I was in Mongolia, the device for continuous glucose monitoring went haywire due to a faulty cable. For this reason, I had to go back to the old fashion of manual measurements. When I arrived in China after twenty days, the biggest problem I had was the choice of food and understanding their ingredients. I often ordered at random from the restaurants’ menus. As a consequence, I had to manage post-prandial blood sugar levels and adjust them by making corrections when they would increase too much. In China, the monitoring device would be very useful because of the uncertainties I experienced with food. There was instead food of all sorts, which was often delicious. Besides, I finally had fresh fruits and vegetables, which I had not found in Mongolia and Russia.I was always in touch via email and whatsapp with dr. Bosetti, a nutritionist of the Sacco Hospital of Milan. She helped me a lot with food evaluation and its glycemic indexes. I managed to keep myself at a good level. Although, the variability was too high at times. Fortunately, it was easy to find noodles, which are similar to our spaghetti, as well as a lot of tasty soups and steamed rice. After about forty days, I arrived in Tibet. Its altitude caused the greatest uncertainty, as I was constantly over 4000 meters. And yet, my diabetes did not seem to be affected by it.Here is the comment of dr.Genovese in this regard: "The diary of blood sugar levels showed too many post-prandial hypoglycemia and excessive variability especially in the morning when Claudio wake up. Instead pre-dinner blood sugar levels were more stable"I stayed two months in Nepal to help an NGO in an orphanage. I lived in a small village close to the Shivapuri national park, just two hours away from the capital Kathmandu. There, my life became rural and basic, so did my diet. Given the difficulty in obtaining meat, which was a real luxury in the village, I became vegetarian, also because of my housemates, who had been vegetarian for several years already. It was easy to find many seasonal vegetables such as cabbage, tomatoes, cucumbers, eggplants and peppers. Also, it was easy to find fruit like mango, apples and bananas. In the evening, we used to eat in the orphanage and every single dinner was based of Dal Bhat, that is, boiled rice with stewed vegetables served with a soup made of beans. I discovered how tasty and healthy legumes are. At breakfast, I was always able to cook two eggs, while lunch often presented the occasion for some Italian pasta! I never drunk alcohol or ate meat and I limited the use of fried and fatty condiments. There, in Nepal, I recovered the device for continuous glucose monitoring that was promptly shipped to me from Italy. Blood glucose profiles showed better blood sugar levels, although they still appeared as a bit too variable. Unfortunately, at the orphanage the food was too basic and often not very good. For this reason, in the evening, my glucose level was often too low and I had to excessively correct it in order to avoid annoying nocturnal hypoglycemia. In this case, dr.Genovese commented: "A median of blood sugar levels lower, but a lot of variability attributable to a difficult management of fast insulin boluses "During this period I became lean. I found out I had lost about 6 kg since my departure. The insulin dosages decreased of about 30% and I felt really good. Afterwards, I made a difficult trekking in the Annapurna. And yet, I handled it very well thanks to the continuous monitoring system. It warned me on time about any low blood sugar drop, which I remedied with excellent chapatis and fresh fruit. During these first hundred days, the greatest difficulty was the Vipassana meditation course, which I attended between the ninetieth and the hundredth day of my journey. It was a tough course in which I practiced meditation for up to 14 hours a day. There was only one significant rule: the noble silence, which is the prohibition to speak or communicate in any other way. Consequently, I was not able to manage diabetes with sensors and my equipment as it would have distracted the meditation. Therefore, I decided to go back to manual measurements and to carry a supply of sugar in my pocket. I did not succeed in agreeing with my doctor on a special therapy because of poor Internet connections and because of the prohibition of having any means of communication. Therefore, I armed myself with common sense and attention. The wake up call was at 4 AM in the morning, but breakfast was served only at 6:30AM. Lunch was at 11 AM. There was no planned dinner, but only a small snack consisting of fruit and puffed rice at 5 PM. Therefore, I was very afraid of nocturnal hypoglycemia during the first few days and I keep my dosages very low. They were probably too much low as I forgot that I would have not done any physical activity during the day because of the meditation. I was already used to eat Dal Bhat, which I had for lunch every day, but breakfast was always different and mainly based on cereals and boiled soups. I discovered that while I liked the porridge, it was not good for diabetes. The glucose increased too much the morning I ate it!After the first few days of acclimatization to high variability, I found my balance and I was able to complete the course successfully. As the meditation was based on the observation of body sensations, I found it easier to make daily progress thanks to the diabetes itself and to the fact that for 24 years I have been used to observe my body sensations in order to prevent and manage hypo and hyper blood sugar levels. Finally this regard Dr. Genovese commented: "After the meditation course there was a good median blood sugar levels throughout the day until the wee hours of the night with the upward trend in the early hours of the morning. Much reduced glycemic variability."Once I arrived to the hundredth day, my blood sugar levels were much less varied and the median was good again. Therefore, I am confident that my blood glucose levels will progressively improve during the rest of my adventure. A solo journey inevitably means being more attentive and, above all, engaging in a constant dialogue with my body. It helps me to keep in mind many aspects related to food and changing habits that are not only related to my diet. I think some hyperglycemia is due precisely to the fact that I want to avoid troublesome hypoglycemia, which would be difficult to manage when I am alone "on the road". However, this continuous monitoring system has helped me a lot and has simplified the daily management of my travelling companion.
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Una lacrima di marmo ferma sulla guancia del tempo

Taj mahal

Qui in India esiste un ottima app per lo smartphone che permette di visualizzare in tempo reale la disponibilità dei posti sui treni e procedere direttamente all’acquisto. Comodissima e utilissima. Peccato che per acquistare il treno che da Khajuraho mi portasse ad Agra ha avuto diversi problemi e per ben tre giorni a Varanasi non sono riuscito a completare l’acquisto. Solitamente viaggio in classe sleeper, la più economica, quella che permette di stare a diretto contatto con la gente del posto e per un viaggio di circa otto, dieci ore si spende meno di trecento rupie ovvero circa tre euro. Quella volta mi è andata male, perché quando finalmente son riuscito a prendere i biglietti la classe sleeper era esaurita e così ho fatto l’upgrade alla seconda con aria condizionata. Mi ero un po’ innervosito al riguardo perché costa quasi il triplo, tuttavia ho imparato a prendere tutti questi inconvenienti come piccoli segnali. In Russia, per esempio, grazie ad un inconveniente simile ero riuscito ad evitare un errore madornale che mi avrebbe fatto perdere soldi, tempo e visto di ingresso per la Mongolia.

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Dall'Italia all'India in 100 giorni senza aerei: il budget

Dopo 100 giorni sulla strada è tempo di stilare un primo bilancio non solo emozionale, ma anche, ahimè, economico. Sapevo che i primi 50 giorni sarebbero pesati tantissimo sull’economia di questo progetto: L’Europa, la Russia, la Mongolia ed il Tibet non mi hanno permesso grandi risparmi, anzi. Tre giorni in Europa, a Varsavia, tra trasporti, alloggi e cibo sono costati circa 90 euro e ho fatto molta fatica a spendere così poco. Si trattava tuttavia del doppio del mio budget giornaliero. In Russia sapevo che avrei speso tanto e ad impattare fortemente sul bilancio vi è innanzitutto la Transiberiana che, considerata la lunga percorrenza è molto economica, 172 euro per oltre 5500 chilometri, ma considerando i giorni trascorsi e l’approvvigionamento di cibo mi è costata circa 70 euro al giorno, ovvero cinque volte tanto il mio budget. La Mongolia è un paese di per sè economico, non fosse che per visitarla all’interno non si può evitare di noleggiare un mezzo ed un autista/guida, in quanto le strade ad un certo punto scompaiono e si seguono piste nelle praterie. Il miglior prezzo che sono riuscito a spuntare è stato di circa 50 dollari al giorno incluso il pernottamento e i pasti. Oltre a ciò ho dovuto prendere anche i treni dalla Siberia ad Ulan Batoor e dalla capitale a Pechino ovvero un totale di circa 200 euro. Finalmente in Cina i prezzi sono tornati ad essere ragionevoli, ma la prima settimana a Pechino tra visite ai monumenti e alcune serate di troppo ho continuato a spendere oltre la mia cifra giornaliera. Fortunatamente nei primi giorni sono stato ospitato a casa di un amico che ora lavora nella capitale cinese. Lasciata Pechino sono finalmente riuscito ad avvicinarmi al mio budget giornaliero di 15 euro, ma ancora capitavano giornate con spese troppo elevate. Risparmiavo a dormire e a mangiare, ma poi mi concedevo qualche acquisto e una birra a pranzo e a cena. Devo dire che non mi sono fatto mancare nulla e vivevo tranquillamente sotto i 20 euro al giorno. In Cina sono stato 25 giorni e tutta la fatica fatta nelle prime settimane è stata vanificata dal passaggio in Tibet. Il Tibet può essere visitato solo ed esclusivamente con una guida turistica e noleggiando una vettura, diversamente non si può ottenere il permesso per visitare questa regione. A Pechino mi avevano paventato cifre intorno al migliaio di euro per poter arrivare a Lhasa ed essere lasciato al confine nepalese. Fortunatamente non mi sono lasciato abbattere e ho incominciato a ricercare soci con cui dividere le spese tramite forum di viaggiatori su internet. Ho scoperto che molti tour partivano da Chengdu e così ho trovato una proposta a circa 550 euro per 6 giorni, pernottamento escluso. Il mio visto era in scadenza e così ho accettato al volo. Da Piacenza a Kathmandu in 48 giorni avevo speso circa 2100 euro ovvero oltre 40 euro al giorno. Sapevo che avrei potuto fare di meglio, ma la stragrande maggioranza delle spese non poteva essere evitata. Finalmente, tuttavia, avevo dalla mia parte il fattore principale per ridurre i costi di un viaggio: il tempo. In Nepal ho ottenuto un visto di tre mesi che ho sfruttato appieno . Non ho visitato molto del paese perché ero impegnato a dare una mano ai ragazzi dell’associazione Human Traction, in aiuto ad un orfanotrofio in un villaggio sperduto a due ore dalla capitale. La vita di villaggio mi ha permesso di risparmiare tantissimo e di riuscire a spendere anche meno di un euro al giorno. Mangiavamo sempre in casa dato che nel villaggio non c’era neanche l’ombra di un ristorante. Unico lusso un chai a colazione fuori casa che sommato a qualche dolcetto costava circa 1 euro e mezzo per tre persone. Eliminate totalmente le birre e ogni volta che si scendeva a Kathmandu si mangiava solo nei ristoranti nepalesi dove una cena può costare meno di 2 euro. A livello economico posso dividere il mio viaggio in due momenti: la fase “turista zaino in spalla” che coincide con i primi 50 giorni e la fase “viaggiatore” che riguarda i restanti. La prima fase come detto non poteva essere che veloce e dispendiosa, la seconda è iniziata all’insegna della moderazione e del passo lento. Tuttavia c’è un concetto cardine che mi ha permesso e mi sta tuttora permettendo grandi risparmi. Quando si viaggia in paesi dal costo della vita molto basso è facile farsi prendere la mano e spendere anche più che negli altri. Occorre un piccolo, ma efficace stratagemma: sono passato dal “tasso di cambio”, ovvero calcolare tutto convertendolo in euro, a quello che io chiamo “tasso di conversione” che consiste nel valutare tutto secondo solo ed esclusivamente la valuta locale ed il relativo costo della vita. Mi spiego: in Nepal un pranzo completo in un ristorante locale, non per turisti, costa circa 150 rupie. Una birra ne costa 350 e una notte in una guesthouse decente 400. Tutto quello che potevo comprare lo paragonavo a questi parametri. Pertanto una bottiglia di birra da 66cl che al cambio in euro costa circa 2,70 euro è carissima per il paese in questione, nonostante ai nostri occhi sia una cifra assolutamente abbordabile. Ma se sono a mangiare e penso che una birra mi costa quasi come dormire una notte in centro a Kathmandu, è scontato che ordini qualcos'altro da bere. Così in tutto, dai trasporti, alle mance, ai souvenir. Questo cambio di pensiero mi ha aiutato tantissimo a risparmiare e a pagare il giusto ogni cosa o servizio. Al centesimo giorno avevo ridotto l’impatto delle spese ad una media di circa 24 euro al giorno e oggi sono sceso a 22 euro. Sfrutto i paesi a basso costo come l’India per darmi dei budget giornalieri molto stimolanti come per esempio riuscire a spendere meno di 10 euro al giorno. Cercherò di restare più a lungo in quei paesi il cui costo della vita è molto basso, mentre mi limiterò ad una visita veloce in tutti gli altri. In India inizierò anche a sfruttare il couchsurfing, così come nel sud est asiatico dove ho in mente un’altra idea per risparmiare alla grande. Sono molto fiducioso al riguardo e penso di potercela fare a compiere l’intero giro del mondo in mille giorni con 15 euro al giorno. Ora sono sempre più viaggiatore.
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Ogni vita è una moltitudine di giorni, un giorno dopo l'altro

Kajuraho Temples

Il Kāma Sūtra è un antico testo indiano considerato come l'opera più importante nella letteratura sanscrita sull’amore.
Tratta dell’amore, del rapporto tra uomo e donna, del benessere, del senso etico e sì, anche delle unioni sessuali. Per la stragrande maggioranza della popolazione è unicamente un libro sulle posizioni, peraltro alcune veramente difficili, durante l’atto sessuale. Molti ne parlano e pochissimi hanno letto anche solo il libro secondo di questa vastissima opera, ovvero il libro dedicato proprio all’enciclopedia dei piaceri del sesso.

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Vedi mai una stella cadere e non ricordi cosa desiderare?

Varanasi

Varanasi.

Varanasi è sporca, sudicia e lurida.
Trovi più mucche che cani randagi per strada e le scimmie sono piuttosto aggressive.
I topi sono dappertutto e alcuni Sadhu ti mostrano cobra in cestini di vimini che tengono solitamente per terra, dove ci puoi tranquillamente inciampare.

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i miei primi 100 giorni sulla strada

Cento giorni per arrivare da Piacenza a Kathmandu.
In realtà ne sono stati sufficienti cinquanta, ma dal Nepal in poi molto è cambiato.
Ricordo perfettamente i giorni prima della partenza: frenetici e carichi di energia. I messaggi di stima, le critiche, gli abbracci, i baci, le discussioni. È stato uno dei momenti più belli, quello del conto alla rovescia.
Da quel 4 maggio il sole mi ha seguito praticamente ovunque mentre viaggiavo e lo ritengo un segnale dal momento che ho scelto di viaggiare verso est, per averlo sempre in faccia, sempre come obiettivo fisso.

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10 giorni di silenzio, in lotta con la propria mente, per trovare l'equilibrio.

10 giorni di silenzio, in lotta con la propria mente, per trovare l'equilibrio.

Nel mio giro del mondo ho deciso di realizzare tanti piccoli sogni che covavo da diverso tempo. Tra questi vi era quello di partecipare ad una scuola di meditazione. Avevo iniziato ad interessarmi di meditazione dopo essermi recato in Birmania, nel 2011. C’era ancora la dittatura e pochi turisti la visitavano. Se si era abbastanza fortunati da trovare monaci capaci di parlare inglese, era quindi possibile chiacchierare e approfondire molte tematiche.

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Dove il mare non scorre sono le acque del cuore che spingono le loro maree

Pokhara

Davanti a me enormi montagne verdi che scavano la valle che porta al lago di Pokhara. Sono a circa 2400 mt di altezza a Panchasse, uno sperduto villaggio di antiche case di montagna in fango e sassi che fa da base all’ultima salita per il tempio da cui si dovrebbe ammirare tutta la zona himalayana intorno all’Annapurna.
Una delle cose che volevo fare nella mi vita prima o poi era provare a vivere anche solo qualche giorno in un paese di montagna antico con quelle vecchie case in sassi senza comfort, in armonia con la natura. Ora che sono ai piedi dell’Annapurna sono riuscito a realizzare anche questo piccolo sogno nel cassetto. Mi addormento sapendo che all’alba mi aspettano tre ore di cammino, ma pensando alla mia terra, all’alta val Trebbia e alla val d’Aveto dove si possono trovare ancora villaggi simili, ma ormai morti. Trovo spunti della mia terra ovunque ultimamente e questo mi fa sentire terribilmente a casa, nel mondo.

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Ognuno di noi appartiene all'onda del mare della vita

Human Traction

Voglio raccontarvi una storia.
Sette anni fa una bambina nepalese è stata adottata da una donna europea, ora vivono felici e contenti e già questa è una bella storia.
Dall’altra parte del mondo, in Nepal, quattro anni fa una ragazza carica di tante speranze sta prestando servizio di volontariato in un orfanotrofio di Kathmandu. Un giorno uno degli orfani le si avvicina e le chiede se sa mantenere un segreto.

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E bevitelo un the salato al latte di Yak! Tashi Delek!

E bevitelo un the salato al latte di Yak! Tashi Delek!

A cura della Dr.ssa Alessandra Bosetti Dietista Clinico Clinica Pediatrica – A.O. Luigi Sacco, Milano La cucina Tibetana è influenzata dai paesi vicini, India, Pakistan, Cina e Nepal, ma è meno saporita, più leggera e meno varia. Uno dei motivi è soprattutto la scarsa produzione di materie prime in quanto il territorio non è bagnato dal mare, ed è quasi tutto composto da montagne sopra i 4000 mt. Un altro motivo è il credo religioso: in questo territorio sono professate tre fedi religiose: il Buddismo, l'islam e l'induismo. Anche la gastronomia del Ladakh, la parte dell'altopiano detta “Piccolo Tibet” , a nord dell'India è sobria e monotona. La dieta è paragonabile a quella delle nostre valli agli inizi del novecento quindi pasti sono semplici e frugali, composti da cereali, carne e latte, mentre le verdure non si trovano facilmente e sono solitamente importate dalla Cina. L'elemento che non manca mai è la Tsampa, farina di miglio tostata impastata con acqua e zucchero, che viene mangiata ad ogni ora, spesso accompagnata da thè salato al burro di yak. L'alimento base della popolazione tibetana è infatti l'orzo, l'unico cereale che può crescere in condizioni estreme di altitudine e siccità. Dall'orzo tostato si ricava appunto la tsampa, una farina dal sapore che ricorda la nocciola e può essere consumata in polvere, aiutandosi con le mani, oppure impastata con l'acqua per ottenere grosse pallem ripassate nella farina fresca per evitare l'essicazione e facili da conservare nella bisaccia per il viaggio. La tsampa viene utilizzata sia per confezionare la pasta, sia per la preparazione di bevande, con l'aggiunta di zucchero, latte, yogurt, oppure mescolata nel te e nella birra locale. Il Tè Tibetano, chiamato Bo Cha è costituito da foglie di tè verde che vengono fatte bollire a lungo, solo che l’infuso così ottenuto viene versato in una specie di zangola assieme a sale, bicarbonato, latte e burro di dri, la femmina dello yak. Il tutto viene mescolato energicamente in modo che il burro fonda e si emulsioni con il liquido. Solo allora il tè viene riversato in un bollitore che lo tenga caldissimo. Il risultato è una bevanda brodosa, molto grassa e salata, che lascia una patina di unto sulle pareti interne della bocca. I Tibetani lo offrono a qualsiasi ora e per qualsiasi occasione, riempiendo le tazze fino all’orlo, e non appena se ne beve qualche sorso si affrettano a versarne di nuovo. Aggiungono del nuovo tè bollente per mantenere la temperatura, poiché se si raffredda troppo il burro si rapprende formando dei grumi rancidi in superficie. La tradizione vuole che gli ospiti non bevano mai tutto il tè della tazza ma ne lascino un po’ per far capire al padrone di casa che ne vogliono ancora. Quando ne hanno abbastanza possono buttare il tè rimasto in una coppa apposita sul pavimento, ma questo deve avvenire non prima della terza o quarta tazza, altrimenti si è considerati scortesi. Il Bo Cha (questo è il nome della bevanda in lingua tibetana) si beve non solo in Tibet, ma in tutte le regioni trans-himalayane a cultura buddista come il Nepal, il Bhutan e in India del Nord. Solo qualche anno fa è stata introdotta la coltivazione dei legumi, nei territori del nord, dove la produzione resta tuttavia molto limitata. Molto importanti sono i latticini come formaggio, burro e yogurt ottenuti dal latte di yak, il bovino dal pelo lunghissimo, che pascola nelle valli tibetane. La pasta, thenthuk, sotto forma di noodles o “tagliatelle”, si trova cucinata con verdure o carne, cosi' come i momo (ravioli ripieni al vapore). MOMO: Calories 4417 Carbs 55 Fat 14 Protein 18 Sodium 1,7 Sugar 3 La carne si trova secca o bollita, spesso speziata e piccante, e se al turista viene offerto coda o lingua di Yak è considerato un grande onore! La frutta si trova nei mercati ma è poco consumata cosi come i dolci. Un discorso a parte merita il consumo di carne in quanto nell'area Tibetana convivono tre fedi religiose, con diverse pescrizioni alimentari: induismo; buddismo, islam. La carne è solitamente esclusa dai pasti per motivi religiosi. Gli indù adorano mucche e tori come divinità e considerano sacri tutti i loro prodotti, perciò seguono un rigoroso regime vegetariano, che essi considerano segno di purezza. I buddisti si astengono dalla carne, benchè non vi sia espresso divieto perchè professano il rispetto di ogni forma di vita ne giustificano l'uccisione solo per necessità. Alcuni buddisti non mangiano prodotti di origine animale, incluse uova e latte. Altri evitano le cosidette “cinque spezie”, aglio , cipolla, erba cipollina, scalogno e porri, perchè temono che il loro forte aroma possa eccitare i sensi e ostacolare la liberazione o il controllo dei desideri, mentre il divieto islamico di mangiare carni impure (maiali e derivati), animali morti naturalmente e animali acquatici che vivono anche fuori dall'acqua (granchi e anfibi), consente di cibarsi solo di carni pure, ottenute con la macellazione di rito mussulmano perciò i pochi macellai tibetani sono musulmani, tra le carni sono saltuariamente cucinati il montone, il pollo e lo yak, quest'ultimo solo per celebrare particolari eventi. Una specialità è la carne essiccata di agnello o di yak, tagliata e lasciata essiccare vicino ai villaggi.

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When you have everything, you have everything to lose

Human Traction

Provare a vivere con poco, sperduto in un villaggio di poche centinaia di anime nella valle di Kathmandu. Seguire il naturale scorrere delle giornate, dall’alba al tramonto. Vedere crescere rigogliose piantagioni di riso, mais e pomodori. Aspettare il monsone con gli abitanti del luogo, fastidioso quanto necessario per la sopravvivenza di tutta la zona. Tutto verde intorno e all’orizzonte nuvole scure, cariche di cattivi presagi, ma così importanti. Come una metafora della vita, occorrono cupi periodi di pioggia per poter godere poi dei campi rigogliosi.
Niente tv, niente acqua calda, energia che va e viene durante la giornata a seconda di quello che decide la capitale, e poi dormire su materassi nepalesi per terra, i quali sono poco più che delle coperte imbottite.

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L'Himalaya: Tibet e Nepal

Mt Everest

Sono arrivato a Lhasa, la capitale del Tibet dopo due giorni di viaggio in treno da Chongquing. In questi due giorni mi è capitato di assaggiare diverse specialità cinesi, in quanto, essendo l’unico occidentale a bordo del vagone, non potevo in alcun modo rifiutare. Mi è capitato un episodio divertente: la prima sera mi viene offerto un uovo del centenario e l’imbarazzo è enorme poiché ha un aspetto disgustoso: è nero, con il tuorlo verde scuro. Si tratta di un uovo che viene preparato attraverso un particolare processo di fermentazione che impiega circa tre mesi in un composto di acqua, sale, carbone, e ossido di calcio. Ecco, ora immaginatevi la scena in cui mi viene insistentemente offerto quest’uovo che è una vera e propria primizia ai loro occhi. Ma la comunicazione è difficilissima e in qualche modo mi invento che non mangio uova perché mi fanno stare male. Un paio d’ore dopo un altro viaggiatore del vagone viene ad offrirmi una specie di omelette dall’aspetto davvero invitante, accetto di buon grado se non che l’altro passeggero, quello dell’uovo nero, mi impedisce di assaggiarla memore del fatto che non potevo, stando alla mia versione precedente, mangiare uova. Rispetto ai tre giorni in Transiberiana la differenza è proprio questa, non riesci a pianificare pranzi e spuntini in quanto questi ultimi sono dettati dai tuoi compagni di viaggio. Ho pertanto effettuato diverse iniezioni di insulina volte a correggere di volta in volta pranzo dopo pranzo, spuntino dopo spuntino. Il secondo giorno di viaggio vengo svegliato da un gran trambusto: il treno, chiamato anche il “treno delle nuvole” stava per oltrepassare il punto più alto della tratta ferroviaria ad oltre 4700 metri di altezza. I miei compagni di viaggio erano esaltati come fossero allo stadio. Il paesaggio fuori non rende assolutamente l’idea in quanto sembra una pianura simile a quella mongola, ma anziché verde, era gialla e marrone chiaro. L’Himalaya sale piano, si assesta su altopiani e poi arrivano i giganti, vette che superano ampiamente i 6000 metri, con quelle più alte come l’Everest a sfiorare i 9000 metri. Ti accorgi dell’altitudine grazie alle nuvole: qui il cielo è terso, finalmente l’inquinamento della Cina continentale è alle spalle, le nuvole sono bianche, grasse e bassissime. Sembra quasi di poterle toccare e allora sì che ci si sente in alto. L’altitudine si sente anche una volta arrivati a destinazione: il treno è pressurizzato mentre Lhasa è situata a 3650 metri sul livello del mare e il respiro è leggermente affaticato. Qui in Tibet vi è il rischio di sentirsi male a causa del mal di montagna (AMS o acute mountain sickness): si presenta solitamente con cefalea, nausea e vomito. Il diabete ovviamente era un’altra seccatura in quanto non mi era mai capitato di trascorrere una decina di giorni a queste altitudini. Avevo tuttavia ottenuto tutte le rassicurazioni del caso da parte del mio dottore e mi sono preoccupato di effettuare quanti più controlli possibile, tra questi una visita cardiologica prima di partire dall’Italia. Il diabete tuttavia non mi ha dato alcun problema, i valori erano nella norma. Purtroppo il sistema di monitoraggio continuo della glicemia l’avrei ricevuto solo una volta arrivato in Nepal, e in questi giorni tibetani sarebbe stato molto utile averlo con me per monitorare le reazioni all’altitudine. Il Tibet è permeato di un’aria di sacralità che si respira ovunque per le strade: monasteri, monaci, pellegrini ovunque. Mi ha ricordato tanto, per atmosfera, la città del vaticano e quel suo essere nel cuore di Roma, diversa da Roma. Ho passato i primi giorni a Lhasa, per acclimatarmi, e poi mi sono diretto verso il gigante per antonomasia: l’Everest. A Lhasa si mangia bene, il cibo tibetano è influenzato dai paesi vicini, India, Pakistan, Nepal e Cina, ma la cucina è meno saporita, più leggera e meno varia di quest’ultima. Uno dei motivi è soprattutto la scarsa produzione di materie prime in quanto il territorio non è bagnato dal mare, ed è quasi tutto composto da montagne sopra i 4000 mt. La dieta è quindi paragonabile a quella delle nostre valli agli inizi del novecento: i pasti sono semplici e frugali, composti da cereali, carne e latte, mentre le verdure non si trovano facilmente e sono solitamente importate dalla Cina. Ovviamente di tutta questa semplicità ne ha giovato il diabete con valori sempre nella norma privi di picchi eccessivi. L’unico problema si poneva con il cosiddetto Bo Cha, il Tè Tibetano, che è costituito da un infuso di foglie di tè verde che viene versato in una specie di zangola assieme a sale, bicarbonato, latte e burro di dri, la femmina dello yak. Il tutto viene mescolato energicamente in modo che il burro fonda e si emulsioni con il liquido. Solo allora il tè viene riversato in un bollitore che lo tenga caldissimo. Il risultato è una bevanda brodosa, molto grassa e salata, che lascia una patina di unto sulle pareti interne della bocca, dal sapori per niente gradevole. I Tibetani lo offrono a qualsiasi ora e per qualsiasi occasione, e diventa spesso impossibile rifiutare una bevuta. Probabilmente a causa del burro presente, la glicemia spesso si alzava e dovevo insistere molto per non berne più di una tazza creando un piccolo imbarazzo che prontamente risolvevo spiegando la situazione con un sorriso, la migliore forma di comunicazione. Il giorno del mio compleanno ero a 5400 metri di altezza e mi sono regalato una delle viste più emozionanti di sempre, l’Everest: che imponenza e quanta forza in quella montagna avvolta dalle nubi che da un lato incute timore e rispetto, dall’altra voglia di sfidarla e conquistarla. Non è tuttavia nei miei piani salire oltre il campo base situato a 5400 metri sul livello del mare così il giorno dopo mi dirigo verso il confine nepalese: il primo confine che finalmente attraverserò a piedi su un piccolo ponte, il “ponte dell’amicizia” . Questo è un passaggio importante nella mia avventura poiché è il primo visto fatto direttamente in loco dopo aver oltrepassato i confini precedenti sempre su di un treno. A Kathmandu non si risente più del problema dell’altitudine, l’aria è più umida e siamo in attesa del monsone. Le montagne intorno sono verdi e lussureggianti, qui la verdura è ampiamente coltivata, il settore primario la fa da padrone all’interno dell’economia nepalese. Le verdure, la frutta, i legumi, i cereali ed il riso sono diventati i miei compagni di viaggio in quanto da quando sono arrivato in Nepal sto seguendo mio malgrado una dieta vegetariana. Ho infatti deciso di investire un mese del mio viaggio intorno al mondo per aiutare un’associazione a prendersi cura di un orfanotrofio nella Kathmandu valley, a circa due ore dalla capitale. I miei compagni di casa son vegetariani e nel villaggio la carne, di qualunque tipo, è un lusso tale che nessuno la vende. Inoltre ceno spesso in orfanotrofio con i bimbi e qui si mangia sempre solo ed esclusivamente Dal Bat, ovvero riso bollito con verdure e una zuppetta. Per ora il diabete ne ha tratto enormi benefici, ho ridotto le unità di insulina e i valori glicemici, ora monitorati nuovamente dal sistema di monitoraggio continuo speditomi dall’Italia, confermano buona stabilità e intervalli nella norma. Ovviamente ciò non è dipeso unicamente dall’abbandono di carne, quanto dallo stile di vita sano in campagna e dalla dieta basica ricca di cereali e verdure. Cerco di non farmi mancare legumi, ottima fonte di proteine, uova e un po’ di formaggio. Qui ci si saluta con “Namastè” il cui significato letterale è “saluto (mi inchino a) le qualità divine che sono in te”: mi sembra un saluto bellissimo e quindi vi lascio così prima della prossima avventura in India. Namastè mondo! Leggi l'articolo completo su Diabete.com Guarda i video su Youtube: Lhasa L'appuntamento con l'Everest Kathmandu Human Traction Il trekking di fronte all'Annapurna

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La cosa che più conta di un viaggio è non smettere di viaggiare

Kathmandu

Sono arrivato dopo circa quattro ore dal confine catapultato nella caotica Kathmandu.
Il Nepal è sporco, povero e incasinato. Ma è bellissimo: per le vie della città si respirano profumi di mercati, di spezie, di cibi; gli edifici sono rossi e grigio scuro, ma vi sono tocchi di colore qua e là, tessuti, tende, oggetti di artigianato, maschere, ornamenti. Ovviamente negozi di souvenir ed elettronica, baba finti e guide improvvisate, ma il centro è ancora vissuto dagli abitanti locali, casta per casta, per cui si trovano ancora vecchi negozi e botteghe.

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Contano le cose meravigliose che incontriamo sul nostro cammino

Tibet

A Lhasa c’è molto altro oltre al Potala Palace tra cui tutto il centro storico, ricco di templi, statue ed altari, e anche appena nei dintorni della capitale si ergono monumenti e monasteri sulle alte montagne da lasciare senza fiato.
E oltre la capitale c’è tutta quella zona che mi accingo a visitare attraverso la Friendship Highway, una strada di 806 chilometri che collega Lhasa al confine con il Nepal. Il termine della strada è un piccolo ponte, il “ponte dell’amicizia”, che è la vera frontiera tra questi due paesi. Dal mio punto di vista è un passaggio carico di molti significati perché è il mio primo attraversamento a piedi di una frontiera. Le altre frontiere infatti sono state tutte superate su diversi treni con gli ufficiali di dogana che salivano sui vagoni, controllavano, scambiavano due battute, timbravano e scendevano. Ora è profondamente diverso e sono emozionato all’idea, l’intero mio progetto è costruito intorno a questi passaggi.

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I desideri hanno le forme delle nuvole

Lhasa

Un gran trambusto mi ha svegliato il secondo giorno sul treno che da Chongquing mi stava portando a Lhasa, la capitale del Tibet.
Erano i miei compagni di viaggio cinesi, tutti esaltati perché di li a poco avremmo passato il punto più alto della tratta ferroviaria ad oltre 4700 metri di altezza.
Il paesaggio fuori non rende assolutamente l’idea in quanto sembra una pianura simile a quella mongola, ma anziché verde, era gialla e marrone chiaro. L’Himalaya è così, sale piano, si assesta su altopiani e poi arrivano i giganti, vette che superano ampiamente i 6000 metri, con quelle più alte come l’Everest a sfiorare i 9000 metri.

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Un viaggio di mille miglia comincia sempre con il primo passo

Monte Emei

“Tutto è diventato cosi’ facile oggi che non si prova più piacere per nulla. Il capire qualcosa è una gioia, ma solo se è legato a uno sforzo”
Scriveva così Tiziano Terzani nel suo libro “Un Indovino Mi Disse”, un libro che mi ispirato tantissimo nell’intraprendere questa avventura.

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Xi'an e i suoi tesori

Xi'an by night

Ho lasciato Ping Yao verso sera e mi sono diretto verso la stazione dei treni. Ho vissuto due giorni belli ed intensi, ma è già tempo di volgere verso Xi’an ed il suo famosissimo esercito di terracotta. Ho sentito pareri controversi riguardo questa città e la sua più importante attrazione: c’è chi ne parla male, riferendo di essere rimasto deluso dall’esercito di terracotta e dalla città stessa e chi invece ne è rimasto affascinato sia dall’uno che dall’altra.

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L'avventura in Cina

Great wall of China

Con il mio giro del mondo senza aerei ho raggiunto la Cina e qui mi sono fermato circa tre settimane, attraversando le regioni di Pechino, dello Shaanxi, del Sichùan ed infine mi appresto proprio in questi giorni ad entrare in Tibet. Arrivare in Cina dalla Mongolia è stato un impatto molto forte soprattutto per aver lasciato i cieli tersi e l’aria pulita della terra di Gengis Khan in favore dell’inquinamento delle metropoli cinesi, nelle quali si fatica davvero a respirare. Il clima è simile a quello della mia pianura padana: inverni freddi ed umidi, estati calde e con l’afa persistente. Tuttavia ho ritrovato elementi importantissimi dell’alimentazione, ormai dimenticati in Russia e Mongolia, come la frutta fresca, in Cina addirittura si trova quotidianamente a prezzi accessibili quella tropicale, e la verdura. Già a Pechino ogni quartiere ha il suo mercato ed approvvigionarsi di questi alimenti è facile ed economico. In tutta la Cina tuttavia questi mercati sono dappertutto e la scelta è davvero ben assortita. Un capitolo a parte merita tuttavia l’intera cucina cinese, che non ha niente a che vedere con quella unta, fritta e dolciastra che siamo soliti mangiare nei ristoranti cinesi in Italia. Qui l’alimentazione è molto varia e, come a casa nostra, cambia radicalmente da città a città. Le abitudini stesse sono molto diverse in quanto i cinesi non sono soliti cucinare in casa in quanto le loro abitazioni sono piccole e modeste, la cucina è spesso sacrificata ed i loro piatti sono composti da ingredienti che lasciano odori intensi come il pesce, l’aglio, la cipolla. Ne risulta che mangiano sempre fuori casa, rendendo il pranzo o la cena un vero e proprio momento sociale. Ne giova la varietà dell’offerta e l’economicità della stessa in quanto è possibile sfamarsi con pochi euro grazie ai vari ristoranti “street food” così come concedersi per poche decine di euro una sofisticata cena al ristorante a base di anatra alla pechinese o pesce fresco e prelibato. Dal punto di vista del diabete tuttavia non è stato tutto semplice per diversi motivi. Innanzitutto durante gli ultimi giorni in Mongolia, a causa di un difettoso cavo di alimentazione la mia macchinetta per il controllo continuo della glicemia è andata in tilt e, in attesa di una nuova spedita dall’Italia, son dovuto tornare ad utilizzare il mio vecchio glucometro. Niente di preoccupante, sono cose che possono capitare e che avevo messo in conto, se non che l’altro strumento mi avrebbe permesso di gestire meglio l’incognita dei cibi qui in terra d’oriente. Sí, perché sebbene nella maggior parte dei casi si trattava di pietanze squisite e complete, al momento dell’ordinazione occorreva affidarsi al caso o al massimo a qualche foto sui menu. Pertanto, onde evitare fastidiose e pericolose ipoglicemie, visto che viaggio in solitaria e quindi i miei compagni di viaggio solo casuali ed improvvisati a cui non posso sempre spiegare di essere diabetico, ho sempre optato per una somministrazione di insulina leggermente inferiore per poi eventualmente correggere in base a quello che effettivamente mi veniva servito e alla quantità dello stesso. Per aiutarmi in tutto questo ho fatto una scheda sim cinese e mi tenevo costantemente in contatto, fusi orari permettendo, con il mio dottore, il dott.Stefano Genovese del gruppo Multimedica di Milano, e con la dott.ssa Alessandra Bosetti, nutrizionista dell’ospedale Sacco, sempre di Milano, con i quali, grazie a whatsapp e mail riuscivo prontamente a ricevere aiuto nella valutazione dei cibi che consumavo. La cucina cinese si basa essenzialmente su pietanze bollite, e quindi servite all’interno di fumanti e profumatissime zuppe oppure saltate nelle loro tipiche padelle chiamate wok. Entrambi i metodi di cottura aiutano i cibi a non essere troppo difficili da digerire in quanto anche nel caso delle pietanze saltate in padella, gli ingredienti vengono cotti per pochi minuti viste le altissime temperature raggiunte dalle stesse. Aiutano nella gestione alimentare del diabete, il riso, onnipresente, così come i noodles che sono simili ad i nostri spaghetti o tagliatelle e possono essere di farina, di riso, o all’uovo, e i ravioli cucinati al vapore, solitamente ripieni di carne e verdura, anch’essi dappertutto. Particolare attenzione va prestata ai fritti, che sono meno comuni, ma comunque molto diffusi in quanto spesso l’olio usato non è di girasole, bensì di palma, alquanto nocivo. Personalmente dopo i primi giorni di ambientamento, pranzavo leggero con del riso e verdure saltate, mentre a cena mi concedevo un piatto di carne o pesce, spesso accompagnato da noodles per poter essere tranquillo con l’insulina somministrata. E la colazione? Qui amano la colazione salata e consiste in pane bianco cotto al vapore, morbidissimo, ripieno di carne o verdure. Ad ogni modo credo che le difficoltà maggiori in Cina risiedano nella difficoltà di capire cosa è realmente contenuto nel piatto e quindi come comportarsi di conseguenza con i dosaggi poiché è un paese completamente sviluppato dove ad ogni angolo non mancano supermercati o piccoli rivenditori con tutto a disposizione per ogni esigenza. Quindi se dal punto di vista dell’alimentazione la Cina non presenta grosse problematiche per una persona diabetica, vi sono altre considerazioni da tenere ben presenti. Innanzitutto le scarse condizioni igieniche: nelle grandi città spesso i locali ed i ristoranti sono sprovvisti dei bagni e occorre servirsi di quelli pubblici per strada, diffusissimi,ma le cui condizioni igieniche lasciano a desiderare. Vi lascio immaginare come può essere la situazione nelle città più piccole. Inoltre i grossi problemi linguistici per cui può essere importante munirsi di un biglietto scritto in ideogrammi per avvertire in caso di malori la nostra patologia. Ultima cosa, non meno importante, se si viaggia low budget come il sottoscritto occorre tenere presente che negli ostelli non è prevista la cucina comune, ma spesso è offerto un servizio di ristorante. Al fine della conservazione dell’insulina sarà importante verificare sempre la presenza di almeno un frigorifero in cui poterla riporre durante il periodo di permanenza. Con le dovute accortezze la Cina è pertanto un posto assolutamente consigliato da visitare anche perché oltre alla cucina ha tanto da offrire: templi antichi, città moderne, parchi naturali e antiche opere d’ingegno ed arte come la Grande Muraglia cinese e l’esercito di terracotta di Xi’an. Ni háo mondo, vi saluto per entrare nel Tibet e sentirci nella prossima puntata dall’Himalaya. Leggi l'articolo completo su Diabete.com Guarda i video su Youtube: Pechino Ping Yao Xi'an Il Sichùan

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Una cartolina dalla Cina antica

Ping Yao

Tra una bottiglia di Tsing Tsao e l'altra, una delle prime sere passate a Pechino ero con alcuni architetti italiani che hanno trovato opportunità di lavoro presso la capitale cinese. D'un tratto chiedo loro quale potesse essere una meta non convenzionale e che mi permettesse di entrare in contatto con la vera Cina di un tempo. Diverse le opzioni proposte, ma una in particolare colse la mia sopita attenzione per una domanda che avevo posto più che altro per fare un po' di conversazione. Si trattava di Ping Yao, città nel mezzo tra Pechino e Xi'an, quest'ultima destinazione già fissata nell'itinerario per via dell'esercito di terracotta. Mi viene descritta come un bel complesso architettonico, ancora perfettamente conservato da centinaia di anni.

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Carne di montone e ...marmotta!

Mongolian cooking

A cura della Dr.ssa Alessandra Bosetti Dietista Clinico Clinica Pediatrica – A.O. Luigi Sacco, Milano La casa bianca..in Mongolia LA GHER Una casa, nido, riparo, focolare, che monti e smonti come fosse fatta di lego. Quasi un gioco da bambini. Con gesti consacrati dalla tradizione, in cui tutta la famiglia ha un suo ruolo preciso, e già che c’è rinsalda ancor di più i vincoli che la tengono unita. La grata circolare (hana) in legno di salice. Che fa da parete e punto d’appoggio per i pali di sostegno (uni), riuniti alla sommità della tenda in una calotta (toono) da cui fuoriesce il tubo-camino del focolare interno. Struttura leggera e resistente, sorretta all’interno da due colonne a T (bagana) in legno riccamente intarsiato. Perché semplicità ed efficienza non vogliono dire povertà e bruttezza. Anzi. La gher all’esterno si ammanta di feltro e di pelli impermeabili, che la rendono intangibile al freddo e le donano un’aria aristocratica. La casa nomade ricoperta di stole. La porta (khalga) si apre a sud, desiderosa del calore proveniente dal deserto del Gobi. Fuori è gelo e buriana, ma dentro è tutt’un’altra storia. Potere della soglia: alle spalle, la morsa bianca del freddo. Il regno della natura e delle sue forze misteriose. Di fronte, il calore ambrato dell’interno. L’universo modellato dal nomade. Si passa da un mondo all’altro, tramite la gher. È per questo che si deve far attenzione, varcandone l’ingresso. Mai inciampare, o calpestare lo stipite. La cattiva sorte, le presenze oscure potrebbero approfittarne per farsi un varco dentro. Via, ricacciatele indietro, perché all’interno della gher c’è un mondo. Profumi, colori, antichi riti, nuovi feticci. Al centro la stufa di ghisa, focolare, camino e cucina insieme. Ai lati, i letti (a sinistra quelli degli uomini e degli ospiti, a destra il letto coniugale e quelli delle donne), le cassapanche, sgabelli e tavolo, un piccolo altare, le masserizie, la brocca con catino per lavarsi, le selle. L’odore è da profumo maschile haute couture: cuoio, tabacco fumée, feltro, con lievissime venature alcoliche (vodka, per l’esattezza). I colori hanno una calda dominante arancio, tinta affine alla cromia dell’oro, segno di regalità e prosperità. A terra, feltro e spessi tappeti. Ovunque, respiri l’essenza del Paese: fatta di segni del passato glorioso (vecchie statuine del Buddha, attrezzi artigianali, antichi oggetti di devozione, stoviglietradizionali) e concessioni alla modernità più globalizzata: polaroid ormai stinte, radioline di marca cinese, giocattoli e secchi di plastica colorata, ma in certi casi anche decoder collegati a improbabili parabole satellitari o centraline che regolano il flusso di energia generato da moderni pannelli solari. Resta salva l’etichetta, più dettagliata e precisa di quella in vigore alla corte del re Sole. Perché la gher è anche un universo di rituali, per dare ritmo all’ordine del mondo. Gli uomini, una volta entrati, si dispongono a sinistra, le donne a destra. Sono banditi gli oggetti nefasti e la lista è lunga, perché va dalle armi da taglio come i coltelli alle pentole senza coperchio (secondo i mongoli ideali per trafugare la felicità familiare), passando per gli utensili da scavo, che ricordano momenti poco gai come le sepolture. La stessa disposizione degli arredi segue regole intricate e legate alla simbologia religiosa. Etichetta vuole che ogni leccornia offerta (con il braccio destro, sorretto dalla mano sinistra all’altezza del gomito) sia entusiasticamente accettata (con entrambe le mani) e trangugiata, che si tratti di grossi pezzi di carne di pecora cotta nel suo grasso, formaggio secco, vodka o airag (latte di cavalla fermentato). Ma prima gli uomini si saranno offerti a vicenda prese di tabacco, ammirando la fattura dei contenitori,pregevole o grossolana che sia. L’ospite ben educato eviterà di fare troppe domande, non si appoggerà mai ai pali di sostegno (è di pessimo auspicio quanto inciampare all’ingresso) e reprimerà in cuor suo ogni desiderio di fischiettare giulivo (modo sicuro per catalizzare il male sulla gher e sui suoi abitanti). Inoltre, ricambierà l’ospitalità al momento della partenza, con un regalo o un po’ di denaro (mai una somma eccessiva, sembrerebbe un gesto per vantarsi e umiliare il padrone di casa). Etichetta anche per accomiatarsi: è previsto un giro in senso orario intorno alla stufa. E solita attenzione al gradino, uscendo. Non urtatelo. La gher ha resistito, grazie ai suoi accorgimenti tecnici e alla tenace protezione dai cattivi auspici, per secoli e secoli. E vuole continuare a resistere. Quindi, rispettate la tradizione. Non calpestate la soglia, per favore. di Rita Ferrauto (da "Mongolia - L'ultimo paradiso dei nomadi guerrieri" di Federico Pistone - Polaris 2008) IL RAPPORTO TRA I MONGOLI E GLI ANIMALI La carne e il latte sono da sempre la base dell'alimentazione dei mongoli. Un vero incubo per i vegetariani, mentre gli animalisti possono consolarsi considerando che in Mongolia gli animali sono rispettati, se non addirittura venerati. L'uccisione di una pecora, ad esempio, viene eseguita con un'antica tecnica che evita inutili sofferenze: viene praticata una sottile incisione all'altezza del costato e compressa l'arteria del cuore: bastano pochi istanti e l'animale muore senza dolore e senza la minima perdita di sangue. Il corpo viene quindi sezionato in più parti e utilizzato completamente, comprese le ossa (foto di Federico Pistone). Poi, generalmente, viene recitata una preghiera rivolta allo spirito dell'animale. Significativo il fatto che i nomadi mongoli indossino i gutul, i tradizionali stivali con la punta rivolta in alto per evitare di "ferire" la terra e calpestare i piccoli animali che la popolano. La natura e gli animali hanno una valenza sacra per i mongoli e anche il cibo ne risente. E' atavica la tradizione di nutrirsi solo di animali che muoiono per cause naturali e, come si dice, senza buttare nulla. Lo testimonia anche il francescano Guglielmo di Rubruc nel suo "Viaggio nell'impero dei Mongoli" del XIII secolo: "Mangiano indifferentemente tutti i loro animali che muoiono, e tra tanti greggi e armenti che possiedono ci sono molti animali che muoiono. Durante l'estate, tuttavia, fino a che hanno il cosmos, cioé il latte di cavalla, non si preoccupano di procurarsi altro cibo: perciò se accade che in quella stagione un bue o un cavallo muoia, mettendo a seccare la carne e tagliandola a fette sottili e appendendole al sole e all'aria, così che si seccano subito senza bisogno di sale e senza alcuno cattivo odore. Con le interiora dei cavalli preparano delle specie di salsicce, migliori di quelle di maiale, e le mangiano fresche; riservano il resto della carne per l'inverno. Con le pelli dei buoi fabbricano grandi otri che fanno seccare al fumo in modo straordinario. Con la parte posteriore della pelle di cavallo fabbricano bellissime calzature. La carne di un unico montone è sufficiente per sfamare cinquanta o cento uomini: essi, infatti tagliano la carne a pezzettini in una scodella aggiungendovi sale e acqua, poiché non preparano nessun altro tipo di condimento". Anche da questo punto di vista, in Mongolia sembra che il tempo si sia fermato perché le abitudini nella steppa, dopo otto secoli, sono rimaste identiche. ALIMENTI GRIGI E ALIMENTI BIANCHI In Mongolia gli alimenti vengono definiti "grigi" (carni) o "bianchi" (latte e derivati). Gli alimenti grigi, soprattutto montone e pecora (la carne è piuttosto grassa e saporita e costa poco ai mercati mongoli), vengono quasi sempre bolliti e lasciati galleggiare a pezzetti nel brodo. Vengono accompagnati dai buuz (vedi ricetta a lato), grossi ravioli di carne e cipolla cotti al vapore o dai khushuur (ricetta a lato), la versione fritta dei buuz. Tutti i mongoli li sanno cucinare e saranno felici di farveli provare. Nella foto (di Federico Pistone), l'ospite degusta il té mentre la padrona della gher prepara la pasta per i buuz. Il boodog è considerato uno dei piatti più peculiari della cucina mongola. Viene preparato con la carne di capra o di marmotta. Attraverso il collo dell'animale vengono estratti ossa e viscere. Si introducono sassi incandescenti e si richiude il collo. La carcassa viene lasciata cuocere finché la carne diventa tenera, gustosa e fragrante. Una variante, con l'agnello, è il khorkhhog Le viscere di pecora, una vera delizia per i nomadi, vengono utilizzate anche per la preparazione di salsicce. Per la conservazione della carne vengono utilizzati vari metodi: il più classico è quello di tagliarla in lunghe e sottili strisce che vengono appese all'ombra. La carne diventa secca molto presto e quasi impossibile tagliarla con il coltello. Così, prima di utilizzarla, occorre bollirla nell'acqua per riammorbidirla. Gli alimenti bianchi sono consumati soprattutto d'estate. Latte e formaggi provengono da quelli che i Mongoli definiscono animali a "muso caldo" (montoni e cavalli) e a "muso freddo" (capre, yak e cammelli). Il tipo e la quantità di cibo dipendono dal periodo dell'anno, dalle condizioni ambientali e dai luoghi. A sud, ad esempio, la dieta principale è a base di carne di montone, latte e formaggi di cammello. In inverno occorrono più calorie e i nomadi consumano soprattutto il grasso degli animali. Alcuni piatti vengono accompagnati da cipolla selvatica e aglio. Frutta e verdura si possono trovare solo in alcuni mercati di Ulaan Baatar ma non fanno certo parte della dieta mongola, anche per le proibitive condizioni climatiche del Paese. Il pesce è molto abbondante nei corsi d'acqua, soprattutto nei laghi del nord, ma questa carne viene considerata poco adatta a un popolo guerriero e viene completamente snobbata. COSA BEVONO I NOMADI DELLA STEPPA Nelle gher il cibo viene cucinato una volta al giorno, soprattutto quando è previsto l'arrivo di un ospite. Per colazione e per merenda viene servito un tè salato (vedi ricetta a fianco, foto a sinistra apsaras.com), a volte con il latte (di yak, di cammella, di cavalla, di capra o di mucca), accompagnato dai boortsog (biscotti imburrati e fritti nell'olio) e anche da pezzi di carne eventualmente avanzati il giorno precedente. Con l'arrivo della primavera, i mongoli cominciano a utilizzare prodotti freschi, soprattutto il latte, che è alla base di zuppe, formaggi, bevande. Tra queste, spicca l'airag, l'alimento principe della dieta mongola, composto da latte di cavalla: è una bevanda alcolica, acidula e frizzantina, molto proteica e, dopo un primo momento di stupore, perfino gradevole. Il latte appena munto viene versato in un otre di cuoio e battuto almeno mille volte fino a farlo fermentare (dai 3 ai 5 gradi alcolici). I mongoli bevono airag in ogni occasione, anche diversi litri al giorno. Ci mettono una grande cura a produrlo, un po' come per noi il vino. Una coppa di airag viene consumata dagli stessi lottatori prima della gara del Naadam. I Mongoli ritengono che l'airag abbia anche qualità medicinali: dà vigore, è antidepressivo, distrugge i germi patogeni nell'intestino e aiuta il metabolismo. Nella foto (www.photos.ws), la preparazione dell'airag. Sempre Guglielmo di Rubruc, nel suo reportage del 1253 ci riferisce quello che accade ancora oggi, esattamente con le stesse modalità (l'airag viene qui chiamata "cosmos", dall'altra denominazione: koumiss): Il cosmos fa molto bene all'intestino, inebria le persone abbastanza deboli ed è notevolmente diuretico". Mentre lo si beve, il cosmos pizzica la lingua come il vino di raspo e dopo che si è finito di bere rimane in bocca il sapore del latte di mandorla. L'altra bevanda irrinunciabile dei mongoli è la vodka, chiamata anche arkhi (o shimiin arkhi) per distinguerla dalla vodka russa normalmente in commercio: è un distillato di 10-12 gradi, cristallino e senza sapore. I RISTORANTI MONGOLI Solo nella capitale, e in altre località turistiche, è possibile trovare una cucina buona per tutti i palati. I ristorantini mongoli, i guanz (molto economici e spartani, se non fatiscenti ma sempre molto pittoreschi e genuini, foto a sinistra) servono piatti a base di carne e buuz, insalata di verza e qualche volta salsiccia di carne di montone. NELLA BORSA DELLA SPESA Sugli scaffali dei supermercatini della capitale si trova anche pasta italiana (non di marca, anzi senza nemmeno l'indicazione della provenienza), olio di oliva e addirittura vino (il meno sospetto è quello di origine bulgara). Ovviamente non mancano i liquori e la vodka (russa ma anche quella mongola, ottima) troneggia sempre. Un viaggio in Mongolia è anche un'occasione per perdere chili. Non solo scarseggia l'apporto di carboidrati, ma è molto difficile trovare alimenti dolci. Nello State Department Store il grande magazzino statale che campeggia in via della Pace, è possibile trovare di tutto, anche delle torte tanto scenografiche quanto perfide nel gusto. Meglio buttarsi sui dolcetti freschi a base di fagioli. Nei mercati della capitale, oltre a vario scatolame proveniente dalla Cina, dalla Corea e dalla Russia (si trovano confezioni di caviale a prezzi stracciati anche se abbondantemente scadute), ci si può rifugiare nei famigerati noodle, ciotole di carne e verdura liofilizzata che, con un bicchiere di acqua calda, diventano dei dignitosi piatti unici. Evitare assolutamente (anche se un assaggio è d'obbligo) il gelato, che ha un curioso sapore di petrolio salato. HULUSHUUR ravioli fritti ripieni di carne di mintone o manzo, cipolle, aglio e sale BUUZ ravioli di carne al vapore KHORKHHOG carne di agnello cotta con sassi incandescenti che vengono posti nel brodo di cottura. BODOG. carne di marmotta KHORKLOG: carne di montone stufato TARAK: yogurt ARUL: formaggio secco ottenuto facendo sgocciolare il formaggio e posto sul tetto della tenda BIASAT: formaggio ottenuto dal latte caldo cagliato con l’aggiunta di TARAK. SHAR TOS: burro giallo cotto, chiarificato (bruciato anche in occasione dei riti sacri) AIRAK: latte fresco di giumenta posto un una otre di pelle e sbattuto frequentemente: si ottiene una bevanda che si consuma nelle occasioni particolari. OIEREM: alimento onorifico per eccellenza ottenuto dalla panna del latte fatta raffreddare e riposare, la si ripiega come un’omelette con la parte cremosa all’interno. ARKH bevanda ottenuta dalla distillazione ripetuta di latte fermentato fino ad ottenere un liquido biancastro cremoso [gallery ids="421,418,417,416"]

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