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I desideri hanno le forme delle nuvole

Lhasa

Un gran trambusto mi ha svegliato il secondo giorno sul treno che da Chongquing mi stava portando a Lhasa, la capitale del Tibet.
Erano i miei compagni di viaggio cinesi, tutti esaltati perché di li a poco avremmo passato il punto più alto della tratta ferroviaria ad oltre 4700 metri di altezza.
Il paesaggio fuori non rende assolutamente l’idea in quanto sembra una pianura simile a quella mongola, ma anziché verde, era gialla e marrone chiaro. L’Himalaya è così, sale piano, si assesta su altopiani e poi arrivano i giganti, vette che superano ampiamente i 6000 metri, con quelle più alte come l’Everest a sfiorare i 9000 metri.


Ti accorgi dell’altitudine grazie alle nuvole: qui il cielo è terso, finalmente l’inquinamento della Cina continentale è alle spalle, le nuvole sono bianche, grasse e sono bassissime. Sembra quasi di poterle toccare e allora sì che ci si sente in alto.

Arrivo a Lhasa nel pomeriggio e subito vengo accolto da un controllo di polizia e sembra di dover compilare un visto di immigrazione. Le forze dell’ordine sono dappertutto e la cosa mi infastidisce non poco, d’altronde fino a prova contraria sono ancora in Cina. Passo il controllo e vengo accolto fuori dalla stazione dalla responsabile del tour che avevo prenotato. Purtroppo agli stranieri è vietato l’ingresso in Tibet se non accompagnati da una guida autorizzata e attraverso la prenotazione di un pacchetto emesso da un tour operator ufficiale, il quale provvede alla richiesta del permesso. Una burocrazia infinita che ha permesso un forte sviluppo turistico perché ovviamente non c’è la possibilità di visitarlo autonomamente e quindi le agenzie ed i tour operator fanno cartello e i prezzi praticati sono decisamente sopra la media cinese. Per entrare in Nepal via terra non ho avuto altra scelta e quindi eccomi nella veste che meno mi si addice: turista e non viaggiatore.

“Tashi delek” è il saluto di benvenuto in Tibet, ma ben presto mi accorgo che c’è dell’altro: per le strade cartelli e insegne sono in un’altra lingua, non solo ideogrammi cinesi, ma anche tibetano. Esteticamente assomiglia più all’arabo se non fosse per la direzione della scrittura. Anche la lingua è diversa e quando provo a dire quelle poche parole che conosco in cinese le persone del luogo ridono e mi rispondono in tibetano. Le persone poi, sono completamente diverse dai cinesi che ero abituato a vedere nelle scorse settimane: ricordano le popolazioni andine, la pelle è molto più scura, i capelli corvini, le corporature più massicce e alte, le rughe sono più marcate e ne scavano i volti. Non vestono stravagante, i loro vestiti sono tradizionali e indossano cappelli larghi. Hanno orecchini in argento e pietre grezze, anche gli uomini. Vedo persone che pregano distendendosi per strada, quasi strisciando per raggiungere templi o statue di Buddha. Anche il cibo è diverso. Sembra quasi di essere in un altro continente. Mi accorgo pertanto che qui non è propriamente Cina, ma non voglio ancora farmi condizionare da pregiudizi e da ciò che ho letto sull’argomento.

I primi tre giorni li ho dedicati alla visita della capitale, sono in un buon gruppo: un ragazzo di Brooklyn di cui faccio fatica a capirne l’inglese a causa dell’accento, una ragazza canadese che sta finendo il suo personale giro del mondo ed una coppia di simpatici tedeschi. Siamo tutti trentenni e l’intesa è buona. La nostra guida è tibetana, non parla e non legge il cinese, mi ero raccomandato con il tour operator che almeno la guida scelta fosse locale. L’autista non parla una parola in inglese, ma si fa in quattro per farsi capire, è molto gentile, disponibile e alla fine risulterà anche molto simpatico.

Lhasa è la capitale non solo politica, ma anche spirituale del Tibet e la cosa si percepisce subito. Solo tre mesi fa ero a Roma, in Città del Vaticano e l’atmosfera che si respira qui non è diversa. Sacralità ovunque, templi, statue, pellegrini. La differenza è che lo stato pontificio è all’interno dell’Italia e non si ha differenza sostanziale con il resto del paese, qui invece l’influenza cinese è dir poco fuori luogo.
Visitiamo il Potala Palace che, maestoso, si erge su una collina che domina la città. E’ bellissimo, bianco, rosso scuro e giallo. Il rosso richiama quello delle tuniche dei monaci. Sembra una porta di accesso ad una sorta di paradiso. Si respira quiete e pace.
Era stato fatto erigere dal quinto Dalai Lama e da allora è il simbolo di Lhasa. Gli interni non sono per nulla sfarzosi ed ogni stanza è una piacevole scoperta. Qui l’attuale Dalai Lama, il quattordicesimo, ha passato solo i primi anni della sua vita in quanto ora è auto esiliato in India e non può far ritorno dal suo popolo a causa della sua non violenta disobbedienza al governo cinese.
Nel 1950 la Cina di Mao, un anno dopo aver proclamato la Repubblica Popolare Cinese, ha invaso il Tibet ed i reggenti di Lhasa si affrettarono a proclamare ufficialmente Dalai Lama l’allora quindicenne Tenzin Gyatso, il quale si adoperò, senza successo, ad ottenere condizioni di occupazione meno dure e di gestire gli affari interni del Tibet senza influenze esterne.
Dopo circa nove anni di convivenza forzata, non senza problemi relativi alle violenze e alle intolleranze praticate dal governo di Pechino, si scatenò una rivolta che fu repressa nel sangue con oltre 70.000 morti.
Il Dalai Lama, insieme ad un gruppo di monaci fedeli, fuggì a Dharamsala in India dove fu ben accolto. La risposta cinese fu l'occupazione integrale del Tibet e la dichiarazione di illegalità del governo tibetano.
In pratica la condizione affinché il Dalai Lama possa rientrare a Lhasa, secondo il governo cinese, è che quest’ultimo ne riconosca la sovranità che ora vuole essere imposta anche all’interno delle scelte religiose con il prossimo Dalai Lama che dovrà essere scelto proprio da Pechino.

Non sono solito soffermarmi su questioni storico politiche, tuttavia qui l’ingiustizia è palese: il Tibet non è la Cina, sono due regioni completamente diverse, la popolazione è diversa così come la loro cultura.
Per farvi capire è come se nel nostro paese, da un giorno all’altro, vi fosse l’invasione di un paese vicino e che lo stesso imponga la propria cultura e linguaggio oltre al fatto che, pur accettando la nostra religione, imponga la scelta di un nuovo Papa nelle loro sedi governative. Provate ad immaginare una situazione del genere e vi renderete conto della gravità culturale in cui è costretto a vivere il popolo tibetano.
Questa è la situazione onnipresente con cui una persona deve fare i conti quando visita il Tibet, zona sacra ormai compromessa dall’invasione cinese.

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Commenti 4

Ospite - Ari76 il Giovedì, 03 Luglio 2014 14:44

Sai come si dice no? A essere buoni....la si prende in quel posto! Forza Tibet!!!

Sai come si dice no? A essere buoni....la si prende in quel posto! Forza Tibet!!!
Ospite - Claudio il Giovedì, 03 Luglio 2014 14:45

Tibet libero!

Tibet libero! ;)
Ospite - Jappo il Sabato, 18 Ottobre 2014 07:53

Ciao Claudio,
oggi tu stai per abbandonare l'India, e dopo mesi che mi dico che voglio risponderti a questo post, finalmente ce la faccio.
Io ti seguo costantemente ed è bellissimo leggerti e vedere i tuoi video. Grazie.
Però, c'è un però, qui in questo articolo hai fatto un errore grossolano che è tipico di chi non conosce a fondo la storia e la geopolitica cinese. Te lo perdono ma ti spiego.
Da come scrivi tu, sembra che il Tibet sia stato invaso dalla Repubblica Popolare Cinese nel 1950, ma la verità è che son già 1000 anni che il Tibet fa parte della Cina. Forse anche di più.
Il Tibet aveva un suo esercito di monaci guerrieri in passato ma essendo i tibetani più dediti alla meditazione che al combattimento, avevano bisogno di una mano contro i vari popoli barbari che imperversavano nella regione. I cinesi, che hanno sempre tenuto molto ai rapporti bilaterali con i vari paesi che li circondavano, hanno inviato diversi reggimenti dell'esercito cinese a protezione del Tibet. Da questo momento, piano piano il Tibet ha rinunciato ad alcuni poteri a favore della Cina.
In maniera non lineare (ovvero con alternanza di momenti in cui era più indipendente con momenti in cui era più soggetto alla legge cinese) siamo arrivati al 1912 e alla caduta dell'impero Qing.
In quel momento il Tibet si è dichiarato indipendente,ma la Cina non ha mai accettato la cosa. Tanto per dire, non solo il PCC (Partito Comunista Cinese), ma neanche il Kuomintang (il Partito Nazionalista Cinese - PNC) che venne poi cacciato sull'isola di Taiwan, accettavano questa scissione del Tibet.
Io faccio sempre l'esempio dei Sud-Tirolo come "Tibet Italiano", e dico: se da oggi a domani il Sud-Tirol dichiarasse la scissione, l'Italia accetterebbe? NO.

Ultima sfaccettature, l'idea del Tibet "da liberare" viene portata in occidente dall'impero inglese, e questa propaganda si protrae fino ai giorni nostri.
Quello che gli inglesi non dicevano, era che volevano "liberare" il Tibet non perché ritenevano che i tibetani fossero schiavizzati dai cinesi, ma perché volevano annettere il Tibet all'India, che all'epoca era colonia inglese.

Per concludere: il Tibet è Cina e lo slogan "Free Tibet" è uguale a "free val d'Aosta dal dominio Italiano".

Ps se poi vogliamo discutere della cacciata del Dalai Lama, ti spiego anche quella

Ciao e buon viaggio!

Ciao Claudio, oggi tu stai per abbandonare l'India, e dopo mesi che mi dico che voglio risponderti a questo post, finalmente ce la faccio. Io ti seguo costantemente ed è bellissimo leggerti e vedere i tuoi video. Grazie. Però, c'è un però, qui in questo articolo hai fatto un errore grossolano che è tipico di chi non conosce a fondo la storia e la geopolitica cinese. Te lo perdono ma ti spiego. Da come scrivi tu, sembra che il Tibet sia stato invaso dalla Repubblica Popolare Cinese nel 1950, ma la verità è che son già 1000 anni che il Tibet fa parte della Cina. Forse anche di più. Il Tibet aveva un suo esercito di monaci guerrieri in passato ma essendo i tibetani più dediti alla meditazione che al combattimento, avevano bisogno di una mano contro i vari popoli barbari che imperversavano nella regione. I cinesi, che hanno sempre tenuto molto ai rapporti bilaterali con i vari paesi che li circondavano, hanno inviato diversi reggimenti dell'esercito cinese a protezione del Tibet. Da questo momento, piano piano il Tibet ha rinunciato ad alcuni poteri a favore della Cina. In maniera non lineare (ovvero con alternanza di momenti in cui era più indipendente con momenti in cui era più soggetto alla legge cinese) siamo arrivati al 1912 e alla caduta dell'impero Qing. In quel momento il Tibet si è dichiarato indipendente,ma la Cina non ha mai accettato la cosa. Tanto per dire, non solo il PCC (Partito Comunista Cinese), ma neanche il Kuomintang (il Partito Nazionalista Cinese - PNC) che venne poi cacciato sull'isola di Taiwan, accettavano questa scissione del Tibet. Io faccio sempre l'esempio dei Sud-Tirolo come "Tibet Italiano", e dico: se da oggi a domani il Sud-Tirol dichiarasse la scissione, l'Italia accetterebbe? NO. Ultima sfaccettature, l'idea del Tibet "da liberare" viene portata in occidente dall'impero inglese, e questa propaganda si protrae fino ai giorni nostri. Quello che gli inglesi non dicevano, era che volevano "liberare" il Tibet non perché ritenevano che i tibetani fossero schiavizzati dai cinesi, ma perché volevano annettere il Tibet all'India, che all'epoca era colonia inglese. Per concludere: il Tibet è Cina e lo slogan "Free Tibet" è uguale a "free val d'Aosta dal dominio Italiano". Ps se poi vogliamo discutere della cacciata del Dalai Lama, ti spiego anche quella ;) Ciao e buon viaggio!
Ospite - Claudio il Martedì, 02 Dicembre 2014 03:35

Ciao caro!!
come vedi anch'io come te ci metto "qualche giorno" a rispondere ai commenti... A parte gli scherzi, il tuo commento mi ha colpito molto e volevo approfondire maggiormente. Quello che dici tu è assolutamente corretto, ma aldilà delle vicissitudini storico politiche la realtà è che il popolo tibetano non è il popolo cinese.
È molto più marcata la differenza rispetto al discorso che fai tu su val d'aosta o sud tirol. I tibetani sono esteticamente diversi dai cinesi, intendo per tratti somatici. Non parlano la stessa lingua e non capiscono nemmeno gli ideogrammi. Hanno un loro alfabeto e tutta la loro cultura è ben differente da quella cinese.
È come l'India quand'era colonia britannica: il fatto che fossero da secoli la loro colonia non vuol dire che non dovessero ribellarsi e rendersi indipendenti. Ammesso che il Tibet abbia politicamente concesso sempre di più potere alla Cina non giustifica le carneficine e i bombardamenti. E al di là della questione politica io parlo della questione culturale: la Cina sta distruggendo la cultura tibetana, parlo di un genocidio culturale e non umano.
Parlo del fatto che ogni 40 km c'è un check point della polizia e dell'esercito cinese in un territorio che non è il loro.

Ora il mio viaggio mi riporterà presto a Lhasa. Tornerò in quei territori e proverò a guardarli con le osservazioni che hai fatto tu.
Se hai qualcosa da segnalarmi per poter andare in profondità sull'argomento una volta là ne sarei contentissimo!!!

Grazie e a presto!!
un abbraccio.

Ciao caro!! come vedi anch'io come te ci metto "qualche giorno" a rispondere ai commenti... A parte gli scherzi, il tuo commento mi ha colpito molto e volevo approfondire maggiormente. Quello che dici tu è assolutamente corretto, ma aldilà delle vicissitudini storico politiche la realtà è che il popolo tibetano non è il popolo cinese. È molto più marcata la differenza rispetto al discorso che fai tu su val d'aosta o sud tirol. I tibetani sono esteticamente diversi dai cinesi, intendo per tratti somatici. Non parlano la stessa lingua e non capiscono nemmeno gli ideogrammi. Hanno un loro alfabeto e tutta la loro cultura è ben differente da quella cinese. È come l'India quand'era colonia britannica: il fatto che fossero da secoli la loro colonia non vuol dire che non dovessero ribellarsi e rendersi indipendenti. Ammesso che il Tibet abbia politicamente concesso sempre di più potere alla Cina non giustifica le carneficine e i bombardamenti. E al di là della questione politica io parlo della questione culturale: la Cina sta distruggendo la cultura tibetana, parlo di un genocidio culturale e non umano. Parlo del fatto che ogni 40 km c'è un check point della polizia e dell'esercito cinese in un territorio che non è il loro. Ora il mio viaggio mi riporterà presto a Lhasa. Tornerò in quei territori e proverò a guardarli con le osservazioni che hai fatto tu. Se hai qualcosa da segnalarmi per poter andare in profondità sull'argomento una volta là ne sarei contentissimo!!! Grazie e a presto!! un abbraccio.
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