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Conquistati ogni giorno un nuovo orizzonte. Non esitare o indugiare in scuse. Prendi e vai. Sarai felice di averlo fatto.

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“Ciao vecio, grazie di tutto, non occorre che tu rimanga. Ti chiedo solo una cosa, fallo per me, davvero: goditela. Assaporala. Inebriati. Lascia che ti entri dentro come ha fatto con me. Lasciati sconvolgere, rivoluzionare. La amerai, ti cambierà la vita”
Con queste parole presi commiato da un caro amico italiano che mi accompagnò all’aeroporto di Sydney, il 12 aprile del 2005. Lui era arrivato da poche settimane e l’avevo introdotto alla città durante i miei ultimi giorni. Condividevamo una mansarda davanti all’Aussie stadium, in una bella zona, credo si chiamasse Paddington.


L’avevo lasciato andare, io avevo appena fatto check in e dovevo solo imbarcarmi. In pratica gli stavo chiedendo qualche minuto di intimità: io e la mia Australia.
Ci siamo abbracciati, dopodiché me ne sono uscito dal gate, vicino alla corsia dei taxi. Mi sono acceso una sigaretta e ho iniziato a guardare il cielo.
Quanto era blu, cazzo, quanto era blu.
Ho preso il cellulare e ho cominciato a mandare sms. A mamma, a papà, a mio fratello, persino a qualche amico. Il mio rientro doveva essere una sorpresa e avrei avuto il cellulare staccato per almeno due giorni.
“Ciao! qui tutto bene, come al solito. L’estate sembra finire quindi me ne vado un paio di giorni con degli amici a nord per farmi qualche surfata. Mi hanno detto che il cellulare non prende la, quindi non preoccupatevi. Vi chiamo appena torno in città”
Con il fuso orario di 10 ore ero tranquillo per almeno tre giorni, nessuno avrebbe chiamato.
Era pomeriggio e mi accesi un’altra sigaretta.
Fu in quel momento che promisi a me stesso che sarei tornato, sarei tornato prima o poi. Quel paese mi aveva cambiato la vita facendomi sentire davvero vivo, per la prima volta.
Mi aveva sconvolto, aveva aperto dentro di me quella fame insaziabile di viaggio, di scoperta, di cultura.
Tutto era iniziato da li. Era come essere nato una seconda volta.

E quel cielo. Non ho mai dimenticato in dieci anni il cielo dell’Australia.
È un blu perfetto, quasi oceano. Quel blu che solo raramente, in qualche giornata di marzo si riesce a intravedere per poche ore dalle nostre parti.

È più di un cielo terso, è il mio blu d’Australia.

I primi giorni sulla nave sono stati tutti uguali. A parte la febbrile attesa della partenza da Hong Kong in cui ho ammirato per un’intera notte e quasi per l’intero giorno successivo caricare e scaricare container. Proprio di fronte alla mia cabina.
La cabina era estremamente confortevole, non azzardo a dire che sia stato senza dubbio il più bel posto dove mi sia capitato di dormire negli ultimi nove mesi.
Letto matrimoniale, un bel bagno, acqua calda, frigorifero, stereo e addirittura tv con dvd. La nave inoltre disponeva di una sala con libri e dvd, ma non ne ho mai sentito la necessità. Avevo tanto lavoro arretrato da smaltire e ho voluto utilizzare quei giorni per dedicarmi a me stesso e al mio progetto. Non mi ha mai spaventato l’assenza di collegamenti con il mondo perché a differenza del corso di meditazione, qui potevo leggere, lavorare ai video, ai racconti, iniziare a pianificare il libro, praticare yoga e meditare.

Scoprii inoltre che sulla nave vi era una piccola palestra così per mantenermi in forma ogni giorno vi passavo un paio d’ore.
In dieci giorni non ho mai chiuso le tende, al mattino intorno alle 5 e 30 la pallida luce dell’alba mi svegliava e così tutte le mattine avevo l’occasione di contemplarla. L’alba dal mare è meravigliosa poiché il sole si alza dall’orizzonte piatto e intorno non vi è nulla che disturbi la visione.
Prima di colazione riuscivo a meditare un’oretta e questo mi dava la carica giusta.
Mangiavo con gli ufficiali i quali provenivano tutti dall’est europa: Romania, Ucraina, Lituania, eccetto il capitano che era tedesco. La ciurma invece era tutta di nazionalità filippina e mangiava in un’altra stanza.
Mi ero scadenzato il programma della giornata in modo da seguirlo perfettamente e dare un preciso ordine alle giornate. Era come se stessi lavorando anch’io.
Spesso a pranzo riuscivo a trattenermi con alcuni degli ufficiali a conversare. Un giorno scopro che uno di questi proviene dalla Krimea e mi confidò che piuttosto che tornare a casa preferiva stare a bordo di quella che tutti chiamavano la “prigione galleggiante”.
Francamente dopo la mia partenza non mi sono più informato sulla situazione ucraina, ma da quello che ho capito è un momento ancora molto difficile e teso. Il rischio è di finire sotto le armi, così preferiva stare lontano da moglie e figlia e poter guadagnare per loro sufficiente denaro per poi poter cercare poi fortuna altrove.
Ascoltando queste storie mi sentivo un gran vigliacco. Quello era il vero coraggio, non il mio. Io ho avuto l’opportunità di poter mollare tutto e rifiutare una società che tuttavia mi ha messo in condizione di poter fare una scelta di quel tipo. Fossi nato e cresciuto in quelle realtà non avrei mai avuto un’opportunità del genere.
Quasi mi vergognavo a raccontare la mia storia, una storia che sbalordiva tutti sulla strada percorsa fin li. Non avrebbe mai però sbalordito quelle persone, anzi.

Per sei giorni la linea dell’orizzonte non è mai cambiata, cambiava solo l’increspatura ed il colore del mare.
Lo guardavo, a tutte le ore, e l’orizzonte sempre lì, da giorni sempre uguale.
Una linea dritta a separare il mare dal cielo.
Blu cobalto il primo, azzurro il secondo.
Stavo contando i giorni che mi separavano dal mirare un orizzonte diverso, frastagliato, che avrebbe significato terra.
No , non ero in delirio marinaresco. Capii tuttavia solo in quel momento l’importanza di quella chiamata: “Terra! Terraaaa!” Mi immaginavo mentre lo urlavo al momento della vista di quel continente sognato da nove mesi in viaggio.

Australia.

Ormai mancava poco.
Attraverso montagne, praterie, steppe, boschi e giungle.
Attraverso templi, monasteri e rovine di antiche civiltà.
Attraverso popoli diversi, lingue differenti, religioni agli antipodi eppure così simili.
Attraverso cibi, odori, colori.
Attraverso l’Asia.
L’ho viaggiata, l’ho vissuta, l’ho gustata.
Asia.
Un nome così breve e bello, così carico di significato.
Un continente che ha ormai perso gran parte della sua genuinità, ma che è ancora capace di preservarne una parte nascosta in piccoli e remoti anfratti.
Un continente povero da una parte e ricchissimo dall’altra. Ricchezza e povertà che convivono all’apice della loro contraddittorietà. Così come il sacro ed il profano.
Templi millenari, carichi di storia e tradizioni venduti ai turisti d’oltre oceano per pochi denari.
Buddha meravigliosi e raffinatissimi illuminati da fluorescenti luci al neon che neppure a Las Vegas a fine anni 70.
Mucche sacre, serpenti sacri, elefanti sacri, scimmie sacre, ratti sacri, eppure, capre sgozzate ogni mattina in onore di un dio.
Automobili, bus e scooter elettrici per le strade affollatissime, eppure, industrie al carbone e popolazione che ogni mattina guarda su un app se uscire di casa con o senza mascherina.
Baracche poverissime tenute in piedi per miracolo con parabola satellitare all’ingresso. Cinque o sei figli mandati a mendicare per recuperare qualche soldo per sopravvivere e nella mano destra del padre il cellulare di ultima generazione.
A guardare tutta questa povertà, tutte queste disuguaglianze spesso mi veniva da pensare a come fosse possibile tutto questo, a come si potesse essere felici nel mondo quando accadevano queste cose. Poi mi accorsi che proprio in queste umili condizioni, in queste storie disperate risiedeva l’umanità, la fratellanza, la compassione. Era l’amore a prevalere. Diversamente non riuscivo a spiegarmelo.
E allora in quel momento un sorriso tornava a disegnarmi la faccia, quel sorriso che mi ha permesso di tenere accesa la luce ed illuminare le persone intorno a me.

Questa, per me, è stata l’Asia, ma in realtà è stata molto di più.

Un continente capace di sorprendermi, ogni giorno,grazie alle sue contraddizioni.
Un continente capace di farmi innamorare, ogni giorno, grazie ai suoi magnifici tramonti.
Un continente capace di tranquillizzarmi, ogni giorno, grazie alla sua spiritualità.
Un continente capace di riequilibrarmi, ogni giorno, grazie alla sua sconfinata natura.
Un continente capace di ritrovarmi, ogni giorno, grazie alla sua umanità.

E mentre mi trovavo ad aspettare che quella linea dell’orizzonte cambiasse, salutavo quella parte di mondo che mi ha restituito il sorriso.

Finchè non arriva l’undicesimo giorno sul cargo mercantile.
Mi ero da poco appisolato dopo aver finito di pranzare e aver fatto il bucato. Mi alzo e mi trascino pigro per la cabina che è tutta in disordine, d’altronde a breve mi sarebbe toccato rifare lo zaino.
Guardo fuori. Non mi sembra vero.
La linea dell’orizzonte sembra quasi non esserci. Il cielo e il mare hanno lo stesso colore.
Quel blu, lo riconoscerei dovunque!
Era quel blu.
Il cielo ed il mare dello stesso colore.
Apro la finestra, guardo a destra.
Terra.
Terra.

È lei. È l’Australia.
Sono tornato. Come promesso. L’ho fatto senza aerei questa volta attraverso un viaggio epico lungo 275 giorni.
Ti ho voluto sudare, conquistare, giorno dopo giorno, chilometro dopo chilometro.

Il cargo mercantile sembra fermo nel mare. Sembra non avanzare di neanche un metro. Non è una tortura, anzi. Sembra quasi un tributo, mi permette di assaporare questo momento dilatandolo nello spazio e nel tempo.

Terra.
Terra.

Avrei voglia di urlarlo, ma chi mi deve sentire ascolta già la mia voce del cuore e sa quanta emozione sta sgorgando.

È l’ora del crepuscolo quando iniziano le manovre per approcciare Brisbane.
A darmi il benvenuto dopo dieci anni un tramonto spettacolare come non ne vedevo da tempo. È diverso dai tramonti indiani, qui l’aria non si colora di rosa. Qui tutto è ben delineato.
L’Australia è piatta, ma di tanto in tanto si ergono montagne a forma di pinnacoli, quasi all’improvviso.
La linea dell’orizzonte stavolta è irregolare e perfettamente nera con una tela di arancio e rosso dietro.

Questo momento è per te. È per me. È per tutti quelli che ci credono.
Ed è solo l’inizio.


********************************







“By buddy, thanks for everything, you don’t have to stay. I only ask you one thing, do it for me, seriously: have fun! Taste it. Get intoxicated with it. Let it in as it did with me. Let yourself be messed up, shaken up. You will love it, it will change your life”. With these words I was saying goodbye to a dear friend who had brought me to Sydney’s airport, April the 12th, 2005. He was there from few weeks and I had introduced him to the city during my last few days. We were sharing a garret in front of the Aussie stadium, located in a nice area, I think it was Paddington. I let him go, I had done the check in already and I just had to board. Basically I was asking him some privacy for me and my Australia. We hugged then I went out from the gate, near the taxis’ lane. I lighted up a cigarette and I look at the sky. Fuck, it was so blue, so blue. I took my phone and I started sending texts to my mom, dad, my brother and some friends also. My return was going to be a surprise so I would have had my phone switched off for a couple of days. “Hello! I’m ok as usual. Summer seems over here so I’m going north with some friends to surf. There no signal there so, don’t worry. I call you as soon as I come back to the city.” With a 10 hours jet lag I would have been ok for at least three days, no one would have called. It was afternoon and I lighted up another cigarette. In that moment I promised to myself I would have come back, sooner or later. That country had changed my life making me feel alive for the first time. It had shocked me, it had given me that insatiable hunger of travel, discover and culture. Everything began there. It was a second birth. That sky, I have never forgotten Australian sky in ten years. It’s a perfect blue, blue ocean. It’s the blue of few March’s days in Italy, visible for few hours. It’s more than a clear sky, it’s my Australian blue.

The first days on the ship were all the same except for the feverish wait of departure in Hong Kong when I admired for the entire night and almost the entire day people carry and empty containers, right in front of my cabin! My cabin was extremely comfortable, I wouldn’t deny it was the best place I have slept in, in the last 9 months.
Queen-size bed, beautiful bathroom, hot shower, fridge, stereo and tv with dvd. The ship had a room with books and dvd but I have never used them. I had so much backlog of work to do and so I used those days for myself and my project. I have never been afraid of lacking of connection with the world because, compared to the meditation course, I could read here, work on videos, stories, planning my book, practice yoga and meditate. I found also a gym on the ship so I spent there a couple of hours every day to keep in shape. I have never closed the curtains for ten days, I was woken up by the pale sunlight around 5.30ish, so every morning I could admire it.
Sunrise on the sea is wonderful because the sun rises up from the horizon and the vision is so clear, there’s nothing surrounding it. Before breakfast I was able to meditate for an hour and this charged me. I ate with the officials coming from East Europe: Romania, Ukraine, Lithuania, the captain was German instead. The crew was Philippine and ate in another room. I planned perfectly my day so I could follow my schedule step by step. I felt I was working too. I was often entertained by officials during lunch, chitchatting with them. One of them was from Krimea and he told me he would rather stay on board of the “floating prison” than go back home. Frankly, after my departure I didn’t inquire about Ukraina’s issue, but I understood it’s still a bad and tense situation. The risk was to be called to arms and so he decided to stay away from wife and daughter and earn enough money to find fortune somewhere else. I felt a coward listening to these stories. That was real courage, not mine. I had the opportunity to leave everything behind and refuse the society itself that allowed me to choose this life. If I were born in that reality, I wouldn’t have had the chance. I was almost ashamed to tell my story, a story that had astonished everyone till that point. It would have never astonished those people for sure.
The sea line didn’t change for six days, only the color and the pleating of the sea were changing. I look at it at every hour; the sea line was there, the same for days. A straight line was dividing the sea from the sky. Cobalt blue the first one, light blue the second one. I was counting days till a different sea line, jagged, meaning land. I wasn’t experiencing a sailor’s fury. I understood at that point the importance of that call “Laaand, Laaand!!” I could imagine myself screaming that, viewing that dreamy continent.
Australia.
It was so close.
I cross mountains, meadows, woods, steppe and jungles.
I cross temples, monasteries and ancient cities ruins.
I cross different people, different languages, poles apart but so similar religions.
I cross foods, smells and colors. I crossed Asia.
I travelled it, I lived it, I tasted it.
Asia
Such a short and beautiful name, so meaningful.
A continent that lost part of its authenticity but it’s still able to preserve a hidden part in small and remote clefts. A poor continent on one side but so rich on the other. Richness and poorness are living together on the apex of their contradictory, as the sacrum and the profane. Thousands years temples, charged of history and traditions, sold to overseas tourists for few coins. Wonderful and elegant Buddhas are illuminated by neon lights as nether in Vegas in the late 70’s. Holy cows, holy snakes, holy elephants, holy monkeys, holy rats but they slit goats’ throats every morning to worship a god. Cars, buses and electric scoters crowd the roads but carbon industries remain and people have to look every morning on an app to see if they have to wear a mask or not. Poor shack are miraculously standing but they all have a satellite dish. Five or six children are sent to beg to survive but they hold a last generation cellphone in the right hand. Looking at this poverty, these discrepancies I couldn’t avoid thinking how this is possible, how it is possible to be happy when these things happen for real. I realized then that humanity, compassion, brotherhood lie in these humble conditions, in these desperate stories. Love prevails. I couldn’t explain it to me otherwise. In that moment, a big smile came back to my face, that smile allowed me to light up and illuminate people around me. This is Asia for me, but it was much more.
This continent was able to surprise me every day for its contradictions.
This continent was able to make me fall in love every day for its wonderful sunsets.
This continent was able to calm me down every day for its spirituality.
This continent was able to balance me every day for its humanity.
While I was waiting for the sea line changing, I said goodbye to that part of the world able to give me back my smile.
11th day. I had just dozed off after lunch and laundry. I stand up and I lazily drag myself through the cabin that is all messed up; in a short time I should have packed again anyway. I look outside. I can’t believe it. The skyline disappeared. The sky and the sea have the same color. I could recognize that blue everywhere. It was that blue. The sky and the sea of the same color. I open the window, I look on the right.
Land
Land.
It’s Australia.
I came back as I had promised. I did it without flights through an epic journey. 275 days. I wanted to sweat, conquer it, day after day, km after km. The cargo seems still in the sea. It doesn’t look to proceed nether a meter. It’s not a torture though. It’s a tribute, it allows me to taste this moment expanding it in space and time.
Land.
Land.
Land.

I would like to scream it but who have to listen to me, hear the voice of my heart and know how many emotions I’m feeling. It’s sunset time when docking maneuvers in Brisbane began. A beautiful sunset is welcoming me. It’s different from Indian sunsets; here the air is not pink. Here it’s all defined. Australia is flat but sometime mountains and pinnacles rise up, suddenly. The skyline is irregular now and perfectly black, behind an orange and red canvas. This moment is for you. It’s for me. It’s for the believers.
It’s just the beginning.

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Commenti 4

Ospite - bonvi83 il Domenica, 22 Marzo 2015 20:12

e qui inizia una nuova avventura....
un nuovo viaggio nel viaggio....
buona strada viaggiatore.... buona strada....
Andrea

e qui inizia una nuova avventura.... un nuovo viaggio nel viaggio.... buona strada viaggiatore.... buona strada.... Andrea
Ospite - Claudio il Lunedì, 23 Marzo 2015 06:19

Grazie mille Andrea!!!!!

Grazie mille Andrea!!!!! ;)
Ospite - gabriele il Lunedì, 30 Marzo 2015 12:29

wow! complimenti! ti ho trovato quasi per caso e ti ho seguito (a pezzi) sin qui. forse ci vedremo in italia. ciao e buon viaggio, g

wow! complimenti! ti ho trovato quasi per caso e ti ho seguito (a pezzi) sin qui. forse ci vedremo in italia. ciao e buon viaggio, g
Ospite - Claudio il Sabato, 04 Aprile 2015 07:48

Grazie Gabriele!!!!!

Grazie Gabriele!!!!! ;)
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