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In viaggio con il diabete tra Canada e Stati Uniti: una guerra quotidiana al cibo spazzatura...

death valley - USA

Lontani sono ormai i giorni trascorsi in Asia, dove quotidianamente mi imbattevo in odori, colori e cibi diversi sempre nuovi. Dopo dieci mesi avevo trovato il mio equilibrio, vegetariano tra l'altro, in una cucina estremamente varia. Il diabete 1 aveva reagito bene ed ero sempre riuscito a mantenerlo sotto controllo.
Poi è arrivata l'agognata Australia e quella sorta di "vacanza mentale" che mi ha portato a "dimenticarmi" del mio compagno di viaggio. Poco male poiché dopo poche settimane sono riuscito, grazie ai cibi perfettamente conosciuti, a riequilibrarmi anche in questo caso.

L'avventura trans pacifica per ventisei giorni chiuso su un cargo mercantile mi ha permesso di studiare il diabete quotidianamente, con un impatto dell'attività fisica inesistente e quindi un focus unico sul cibo e sulle quantità di insulina. L'equilibrio in questo caso è stato ancora più facile sebbene lo scarsissimo movimento mi abbia portato ad aumentare del 10% circa delle mie dosi quotidiane.
Un'esperienza ormai quasi globale e oltre 300 giorni in viaggio. Così mi presento al Nord America, al Canada prima e agli Stati Uniti poi. Paesi in cui il tasso di crescita del diabete è altissimo, soprattutto per il tipo 2. Il motivo è facilmente scovabile.


Il Nord America è il posto peggiore finora visitato per i malati di diabete.
Senza se e senza ma, ho trascorso due mesi, attraversando il continente da ovest a est e poi da nord a sud, e ancora verso ovest fino alla California. Da Vancouver a New York e poi attraverso gli States tra Chicago, New Orleans, Austin, Denver, San Francisco e San Diego solo per citare alcune delle città più importanti.
Dappertutto il comune denominatore è lo zucchero onnipresente. I cibi, anche conosciuti, hanno valori nutrizionali completamente diversi da quanto ero abituato in Europa e in Australia. Il pane, per esempio non contiene solo zucchero, ma anche proteine. Il tutto ancora più complicato dai prezzi poiché mangiare in maniera sana, biologica e organica è un lusso per ricchissimi. Il mio viaggio intorno al mondo è anche una sfida al budget e non potevo permettermi i classici fast food per ovvie ragioni di salute.

E così i primi giorni ho cominciato a sentire le prime iperglicemie ingiustificate.
Non capivo come potessero alzarsi così tanto i valori della glicemia a fronte di insalate o normalissimi panini a base di verdure. Spesso mi imbattevo in salad bar, ovvero bar a base di insalate, tra i più gustosi trovati nel mondo. Il problema tuttavia risale ai condimenti, praticamente impossibile trovarne qualcuno privo di zuccheri o grassi significativi.

Una notte per esempio mi ritrovai in una radura nel Colorado. Dormivo in macchina, in uno spazio appositamente dedicato al campeggio. Per cena mi ero comprato una busta di ceasar salad ovvero un'insalata a base di formaggio e crocchette di pane accompagnate da un condimento composto principalmente da yoghurt e aglio. Questa la mia cena insieme a un po' di frutta e un tè caldo senza zucchero. La glicemia prima di cena pari a 145, quindi effettuo la mia solita dose dato che insieme all'insalata avrei mangiato un pò di pane finalmente trovato senza zucchero aggiunto in una vera e propria panetteria.
Dopo circa tre ore inizio a sentire sete e urino più del dovuto. Non posso credere di essere in iperglicemia. Faccio l'esame e mi ritrovo ad oltre 400!
Ovviamente correggo e dopo poco rientro nei ranghi.
Al mattino successivo controllo l'etichetta dell'insalata con i valori nutrizionali della salsa condimento: nonostante fosse salata era a base di zucchero, oltre cinquecento calorie.
Questo un piccolo esempio, ma potrei farne tantissimi.
Come quella volta che mi sono trovato ad ordinare un pancake e due uova per colazione e mi ritrovo quattro pancake con una palla di burro da sembrare una palla di gelato alla vaniglia mentre le uova erano appoggiate su un letto di patate in stile hashbrown (frittelle di patate).
Questo a dimostrare che le quantità stesse in America sono un problema.


Per quanto riguarda la mia dieta vegetariana, altrettanti problemi.
Tutti i derivati per vegetariani contengono grassi e zuccheri per aumentarne i sapori.
Ho faticato non poco per riuscire ad equilibrarmi e probabilmente in due mesi ho perso tanti dei benefici guadagnati in un anno in giro per il mondo.
La mia permanenza si è tradotta in una autentica lettura quotidiana di etichette nutrizionali. Per fortuna sono in grado ormai di gestire in modo autonomo tali problematiche anche se in queste settimane l'apporto della mia nutrizionista e il costante confronto con il medico mi hanno aiutato non poco.
Ho osservato tanto la popolazione americana e ho trovato l'americano medio decisamente sovrappeso e soprattutto l'ho visto alimentarsi nel peggiore dei modi. Ho trovato anche americani invasati della forma fisica e delle diete, ma in quanto tali si trovano poi a combattere altre problematiche.
Mangiare sano in America è difficile e costoso, inoltre richiede un minimo di preparazione. Se pensate di trascorrervi un periodo superiore alle due settimane siete avvisati, meglio un consulto nutrizionale prima di partire.


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