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Con il diabete nella terra dei canguri

Jervis Bay

Finalmente Australia! Dopo 275 giorni il traguardo tanto agognato, sognato e desiderato, ovvero riuscire ad arrivare agli antipodi dell’Italia senza aerei. Già di per se è stata un’impresa tra difficoltà burocratiche e viaggi improbabili come quello su una nave cargo da Hong Kong a Brisbane.
Inoltre il diabete 1. Il mio compagno di viaggio da una vita è stato un compagno ancora più presente in questa avventura.

Nessun problema di rilievo, anzi. Devo ammettere che il diabete di tipo 1 mi ha dato più opportunità che problemi. Nessuna ipoglicemia grave, nessuna iperglicemia troppo prolungata. Viaggiando in solitaria ho potuto concentrarmi solo sulle mie forze, focalizzandomi sulla massima resa del mio corpo. Questo mi ha permesso di evitare sciocchezze che potessero poi pregiudicare il viaggio e di conseguenza la mia salute.

L’attenzione è sempre stata costante, sebbene non ossessiva...
Osservare le sensazioni del corpo non era sufficiente quando mi trovavo in paesi con enormi difficoltà linguistiche, dalle condizioni igieniche disperate.
Il segreto sta tutto nel monitoraggio e nell’attenzione di una dieta equilibrata.
Ho intervallato momenti in cui avevo a disposizione sensori di monitoraggio continui di ultima generazione a settimane con i classici glucometri. Almeno tre controlli al giorno si rendevano necessari e talvolta anche di più per comprendere il reale impatto di alcuni cibi sulla curva glicemica.

Il raggiungimento dell’Australia ha significato anche tornare a cibi e stili di vita di matrice occidentale. Dopo nove mesi in Asia catapultarsi in un mondo del genere è stato uno shock. Non solo mentale, ma anche fisico.
Poter nuovamente avere a disposizione tutto quello di cui si era soliti nutrirsi mi ha fatto perdere un po’ la bussola nelle prime settimane. Olio, pane, pasta, dolci…
Essere in un paese altamente civilizzato e anglosassone ha fatto sì che l’attenzione calasse inevitabilmente.
E così le curve glicemiche hanno subito per la prima volta dalla mia partenza un peggioramento.
Iperglicemie post prandiali e ipoglicemie da correzione erano all’ordine del giorno.
Ovviamente ciò non significa che l’Australia sia un paese sconsigliato ai diabetici, anzi. La realtà è che mi ero un po’ rilassato, esattamente come nella vita quotidiana prima di partire per il viaggio della vita. Facevo meno controlli, mangiavo in maniera disordinata e la sera un paio di birrette non mancavano mai.

Io ne avevo bisogno - di testa e di corpo - dopo nove mesi passati a vagabondare per l’Asia, ma il diabete evidentemente no. Nessun problema di rilievo, intendiamoci, tuttavia grossa variabilità nelle glicemie e difficile gestione delle stesse.
È così dopo qualche settimana tra la costa est e Sydney ho realizzato che sarei dovuto tornare all’attenzione prestata nei primi mesi per non vanificare quanto di buono ero riuscito a fare fino a quel momento.
Fortunatamente l’Australia offre materie prime di qualità eccelsa e così mi è bastato tornare a mangiare verdure fresche e frutta quotidianamente e limitare al minimo la birra. L’Australia inoltre dispone oggi di vini eccezionali anche a buon mercato quindi non è stato difficile sostituire le birre guadagnandoci in spirito e salute.

Inizialmente sarei dovuto rimanere nella terra dei canguri solo tre settimane, ma il cargo che mi avrebbe portato fino in Canada aveva accumulato ritardo in America e così mi sono fermato circa sei settimane. Arrivato a Brisbane mi sono subito spostato a sud, per poter tornare a cavalcare le onde di Byron Bay e poi a Sydney, la mia seconda casa. Ero infatti già stato in questo paese dieci anni prima e nella grande città ci avevo lasciato il cuore.
Dopo aver richiesto il visto statunitense mi sono poi diretto ancora più a sud, verso Melbourne, la più europea delle città australiane.
Qui ho avuto l’opportunità di essere ricevuto dagli uffici di Diabetes Australia che seguivano la mia avventura fin dagli albori. Mi confidano che le ultime novità mediche tardano ad arrivare qui, dall’altra parte del mondo, e che devono parzialmente sostenere spese sia per gli strumenti diagnostici che per l’insulina.
Nel frattempo i tempi continuavano a dilatarsi così ho deciso di spostarmi verso territori che non avesvo ancora esplorato e trovandomi a Melbourne la scelta è stata scontata: Tasmania.

La Tasmania è un isola a sud, le cui correnti provengono direttamente dall’Antartide, ma la cui natura è semplicemente incredibile. L’autunno era alle porte e con esso i suoi colori tipici: verde scuro, arancio, rosso e giallo.
Qui ho aderito ad un progetto di woofing ovvero ho lavorato in una fattoria in cambio di vitto e alloggio. Dormivo in un vecchio bus restaurato per poter offrire comodi giacigli, esattamente come nel film “Into the wild”. Il bus era in cima a un monte e da lì ogni mattina la natura mi salutava all’alba con luci e colori inebrianti.
Tornare nella natura e abbandonare il cemento ha giovato anche al diabete stesso che, grazie ad un regime alimentare più semplice, lunghe passeggiate, un po’ di lavoro in fattoria e un’attenzione maggiore è tornato ai livelli pre-Australia.

Nel frattempo in un pallido e freddo pomeriggio ho ricevuto l’email dalla compagnia di spedizione: il cargo finalmente era in arrivo e di conseguenza la mia permanenza in quelle terre ormai al capolinea.

L’Australia mi ha confermato che nella nostra società è facile cadere nelle tentazioni di un’alimentazione disordinata o di scarsi controlli glicemici. Questo tuttavia va a ledere il nostro corpo, la nostra salute ed il nostro benessere. Lezione imparata, ora sono pronto a una nuova avventura e ad un nuovo mondo: l’America.
Ad maiora.

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In viaggio con il diabete tra Canada e Stati Uniti...
Con il diabete a spasso nel sud est asiatico

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