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Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà come per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno.

Perito Moreno - Argentina

Sono seduto sul ciglio della strada da quasi quattro ore. Saranno passate non più di cinque auto. La città più vicina dista quaranta chilometri, l'altra, quella a cui sono diretto, ottantadue. Mi guardo intorno, non c'è nulla. Rocce e arbusti. Sto giocando con i sassi per combattere la noia.
Devo riuscire a colpire quel cartello, la in fondo.
Dopo diversi tentativi ce la faccio, gioco finito.
Sento un rumore in lontananza che strazia il silenzio circostante.


È un fuoristrada.
Mai rumore di un auto mi fu più gradito.
Passa, niente passaggio.
Rischio di dover dormire qui, a pochi chilometri c'è una miniera, li si lavora ventiquattr'ore, nella peggiore delle ipotesi posso trovare un giaciglio li.

Ripenso ai giorni in Patagonia.
La Patagonia ti entra dentro, forte, inesorabile.
La natura rigogliosa al nord, quella secca nella steppa. I fiordi, i laghi azzurri come solo i laghi di ghiacciai possono essere.
Il mare, le persone.
I fiordi, i fiumi impetuosi.
L'acqua.
Avete mai assaggiato il vero sapore dell'acqua? Non dico di quella in bottigliette, no, no.
Quella di un torrente.
Quella fresca che sorge dalla montagna.
Quella vera.
A trentaquattro anni e dopo quasi 700 giorni a girovagare nel mondo l'ho assaggiata.
Ed è buona, quel buono genuino, quel buono reale.
Ma che ne sanno quelli a casa mi ripeto nella mia testa.
Ma che ne sanno di quello che ho visto.
Ma che ne sanno di quello che ho vissuto.
Ma che ne sanno del sapore dell'acqua.

Penso a quello che mi aspetterà quando tornerò a casa. Sale l'ansia, l'angoscia. Starò male, è inevitabile.
Ripenserò a questi momenti e mi mancheranno da morire.
Non so nemmeno se sarò più in grado di gestire le relazioni umane visto che da troppo tempo sto viaggiando solo.

Poi mi guardo intorno.
Le montagne all'orizzonte segnano una linea meravigliosa a squarciare il cielo terso, blu.
Le rocce, quel sasso, quell'arbusto, è tutto così perfetto. E quieto.
Il lago a valle è azzurro, vedo dei cavalli dissetarsi sulle sponde.
Anche loro a godere di quest'acqua incontaminata.
Il mondo che abbiamo devastato e ora non c'è più.
Ma perché? Ma perché abbiamo commesso un simile delitto?
Perché abbiamo distrutto questa perfezione?
Sento un nuovo rumore provenire da lontano, non è un auto, è molto più forte.
È un camion dalla miniera, solitamente vanno in direzione opposta. Mi vede, accosta.
Salgo sulla cabina e mi presento a Paulo, un pacioso ragazzo. Va nella mia direzione, ma può lasciarmi solo in un altro villaggio. Accetto senza ripensamenti.
Mai avevo viaggiato in un camion, la vista da quassù è diversa.
Ha un quaderno dove raccoglie tutte le testimonianze dei mochilleros che raccoglie sulla strada.
Mi racconta storie, è un viaggio piacevole.
Giungo in un villaggio sulle sponde del lago General Carrera, non ho idea che si tratti di un luogo così magico.
Il cugino di Paulo ha una barca e mi porta a visitare alcune formazioni rocciose. Si tratta delle cattedrali di marmo, vere e proprie sculture nate dall'erosione perpetrata da ghiaccio, acqua e vento.
Sinuose, bianche, perfette.
Dormo a casa di una signora che per pochi spiccioli mi da ospitalità e cibo.
Il giorno dopo sono di nuovo sulla strada, è lunga arrivare al sud, alla fine della Carretera Austral.
E qui passano pochissime auto.
C'è freddo e sono sulla strada da quasi quattro ore. Trovo un nuovo gioco con i sassi. Devo segnare un goal tra due alberi. Sono lontani e defilati. Mi impegna una mezzoretta.
Da lontano arriva un'auto, stracarica. Non si fermerà mai, ma io ci provo lo stesso. Dentro quattro uomini sulla cinquantina, buena onda. Mi caricherebbero volentieri, ma non hanno lo spazio per lo zaino.
Cosa non deve mai mancare nello zaino di un viaggiatore? Una corda.
Io ce l'ho e così possiamo fissare lo zaino sul tetto dell'auto.
Ho il passaggio, arrivano fino a Caleta Tortel, oltre trecento chilometri più a sud. Sono amici da una vita e si sono ritrovati a fare il viaggio che sempre avevano rimandato negli anni. Senza mogli e figli appresso, insieme a ricordare gli anni migliori.
La musica in auto è di quelle giuste, solo rock d'annata e genuino.
Ridono e scherzano. E sognano ad occhi aperti ascoltando la mia storia.
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Parliamo del'68 e dei viaggi in autostop. Guardo fuori dal finestrino e il paesaggio è pazzesco.
La valle, color caffè latte, lambita dal fiume Baker, azzurro, e le sue bianche rapide. Le montagne intorno, altissime e coi picchi innevati.
Mi commuovo davanti a questo spettacolo.
Arrivo a Caleta Tortel di notte, è il penultimo villaggio prima della fine della Carretera Austral, lì dove finisce la strada, ma non il Cile. Il Cile è ancora lungo, ma da ora è solo natura.
Ho un'obiettivo: trovare una barca privata per Puerto Natales, evitandomi così una frontiera e godendo di un viaggio tra i fiordi incontaminati.
Caleta Tortel è un luogo fuori dal tempo. Villaggio costruito sulle pendici di un fiordo, tra le rocce.
Ponti e passerelle in legno sono le strade.
Circa trecento abitanti.
Tra questi Diego, un ragazzo incredibile. Lo conosco mentre cammino sulle passerelle in cerca di informazioni su questa fantomatica barca. La barca c'è, ma salpa una volta al mese e la prossima partenza è fissata tra tre settimane. Troppe, non posso aspettare così tanto, tra poco a sud farà davvero molto freddo.
Diego mi invita a casa sua e passiamo il pomeriggio a condividere le nostre esperienze tra un mate e qualche bicchiere di vino. Lui porta i turisti in barca a fare escursioni. Mi racconta del fiume vicino e della casa che sta costruendo con la sua ragazza. Ad un certo punto mi invita in barca a fare un giro.
Qui la Patagonia è esattamente quella che ti aspetti.
Il mare prima, e poi la foce del fiume. Freddo, e quella nebbiolina che ti avvolge. Boschi fittissimi, montagne innevate alle spalle dei fiordi.
Andiamo fino alla casa in costruzione e mi mostra il suo sogno.
Nella natura, casa in legno, una stufa, qualche animale e poco altro.
E cosa si può volere di più?
Condividiamo una bottiglia di vino in questo angolo di paradiso e inizia a scendere l'oscurità, torniamo pertanto al villaggio.
Ci salutiamo, l'abbraccio è di quelli da viaggiatori, da persone che hanno ancora sogni e non si vergognano di averli.
Mancano gli ultimi cento chilometri per arrivare alla fine della strada, a Villa O'Higgins. Trovo passaggio facilmente questa volta e già nel primo pomeriggio sono a destinazione.
Per scendere a sud occorre attraversare il lago, camminare per ventidue chilometri nei boschi, attraversare la frontiera con l'Argentina e poi prendere una barca e un bus per raggiungere il primo paese abitato: El Chaltèn. Una frontiera d'altri tempi, di quelle che si varcano camminando.
Il problema pare tuttavia essere il fatto che la stagione è finita e non ci sono barche ad attraversare il lago. Nel villaggio incontro subito altri viaggiatori intenzionati come me a compiere questa missione. Siamo in dodici e così riusciamo a convincere un capitano a portarci sulle sponde opposte. Dobbiamo anche parlare con i carabinieri cileni perché la frontiera è chiusa.
Riusciamo tuttavia ad incastrare il tutto e al mattino si parte. Arriviamo al molo, la barca è una imbarcazione mercantile che trasporta ogni cosa, tra cui anche un cavallo. Sembra fatta, ma il capitano ci dice che dobbiamo rimandare tutto al giorno successivo, c'è troppo vento e il lago è pericoloso per una barca del genere.
Sembra una frontiera maledetta, un sud che non riesco a raggiungere, solo a sfiorare.
Il giorno dopo sveglia nel cuore della notte, si parte per davvero.
Dopo quattro ore di navigazione arriviamo dalla parte opposta del lago, i carabinieri ci timbrano i passaporti e partiamo per la lunga camminata nei boschi.
Clandestini in terra di nessuno.
Libertà pura.
Natura meravigliosa.
Sono felice, mi sento vivo.
Sette ore di cammino, la schiena a pezzi per lo zaino pesante sulle spalle. Davanti a noi, nel sentiero tra gli alberi si apre una veduta di rara bellezza. Il cielo senza una nuvola, blu, intenso. Il bosco intorno a noi. Il lago, un'altro, a valle. All'orizzonte il monte Fitzroy e la sua cima che ricorda le nostre dolomiti.
Che immagine meravigliosa e noi, clandestini in terra di nessuno.
Sul lago troviamo la gendarmeria argentina, ci accolgono ma ci gelano dicendo che non sono più autorizzati a timbrare passaporti poiché la stagione è terminata.
Non possiamo tuttavia tornare indietro poiché non esistono barche che ci possano far rientrare in Cile.
Attendiamo fiduciosi.
Dopo un paio d'ore l'ufficiale rientra con i nostri passaporti timbrati.
È finalmente Argentina.
Arrivo a El Chaltèn di notte, stremato.
Non ho la forza di effettuare alcuno dei meravigliosi trekking nella zona.
Riposo un giorno e mi rimetto in marcia.
Devo scendere, ancora più a sud, rientrare in Cile per poi raggiungere la Tierra del Fuego.
C'è freddo e vento forte, sulla strada tanti viaggiatori come me a cercare un passaggio. Dopo un paio d'ore ne trovo uno che mi avrebbe lasciato ad un incrocio a circa cento chilometri.
Un incrocio dove non esiste nulla, se non la ruta 40, un'arteria argentina, ma che, come la Carretera Austral cilena, non è frequentata qui a sud.
È ancora mattina, ho cibo a sufficienza e così me la gioco.
Il ragazzo argentino che mi da il passaggio è un personaggio simpatico e affabile, si diverte a farmi ascoltare rock argentino anche se non lascia suonare le canzoni più di qualche minuto.
Mi lascia all'incrocio, intorno a me la pianura argentina.
Nulla.
Nemmeno un corso d'acqua, nemmeno un albero.
Solo una strada.
Passano pochi minuti, non avevo fatto nemmeno in tempo ad appoggiare lo zaino in terra che sento un auto. Allargo il braccio sinistro, alzo il pollice, giro la testa.
La macchina passa.
Poi inchioda poco più avanti.
Esce un uomo.
"Claudio!!! Que tal amigo?"
Era Patricio, uno del gruppo di cinquantenni che giravano il Cile nel loro viaggio della vita e che mi avevano dato il passaggio fino a Caleta Tortel.
Essere li in quel punto, in quel momento.
Le correnti dell'universo.
I puntini della vita in connessione tra loro.

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Probabilmente è più facile vincere la lotteria che succeda qualcosa del genere, nel mezzo di nulla, su una strada del genere.

Ma tant'è, questa è la mia lotteria, questa è la mia avventura e questa è una nuova storia da raccontare.
Il resto è caricare lo zaino sul tetto della macchina, fissarlo con la corda, sedersi, chiudere la portiera e... rock 'n' roll.

Location (Map)

Itaca ti ha donato il bel viaggio. Senza di lei no...
C'è una gioia nei boschi inesplorati, c'è un'estas...

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Venerdì, 29 Marzo 2024
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