Un luogo non è mai solo quel luogo: quel luogo siamo un po' anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati.

Il Machu Picchu era uno di quegli appuntamenti da non mancare in Sudamerica. Quando si pensa a questa area del mondo la mente non può che correre con l'immaginazione a quell'antica città perduta tra le Ande.
Per me era qualcosa di più.
Da un anno era un pensiero fisso nella mia testa.
Un anno fa ero a piangere la prematura scomparsa di mio padre. Il suo più grande sogno era proprio il Machu Picchu. E ancora prima di chiudere gli occhi ne parlava con la voce flebile.
È così un anno dopo non potevo mancarlo nella realizzazione del mio sogno.
Alle 4,20 del mattino suona la sveglia e mi precipito fuori dall'ostello per raggiungere il ponte da cui si entra nel parco naturale.
Sono tra i primi di fronte al cancello. È ancora buio intorno, piove forte. In pochi minuti si forma una coda lunghissima. Intorno a me tantissimi giovani viaggiatori provenienti da ogni angolo del mondo. Sento parlare lingue diverse, mi accorgo di essere tra i più vecchi. Non avevo mai visto così tanti giovani in coda per un sito archeologico.

A tutti brillano gli occhi.
Chissà cosa è per loro Machu Picchu.
Aprono i cancelli, ci buttiamo su per la salita tra i boschi. La salita è dura, i gradini picchiano i polpacci.
In circa 40 minuti arrivo all'ingresso finale.
Davanti ai miei occhi si apre lo spettacolo.
Tra montagne altissime si ergono le rovine perfettamente conservate di questa antica città.
Ora la pioggia è lieve sulla mia faccia.
Le gocce si mischiano alle lacrime. Sento il sale quando con una mano cerco di asciugarmi lo sguardo.
Quel sale contenuto nel mare e nelle lacrime. Il mare e davanti a me le Ande e il loro segreto più bello.
Cerco subito un posto isolato per sedermi e gustarmi lo spettacolo.
È inevitabile, il pensiero continua a finire ai ricordi di quel giorno, un anno fa.
Medito, chiudo gli occhi e respiro profondamente.
Me lo immagino da parte a me a godersi quello spettacolo attraverso i miei occhi.
Apre la montagna Huayna Picchu e sono il primo a salire.
La salita è ripida e difficile, a tratti pericolosa. Alcuni passaggi sono angusti, ma arrivo per primo sulla vetta. Lo scenario è coperto da fitte nubi che si muovono velocemente.
Prima che arrivino in cima le altre persone posso godere di uno spiraglio per la mia vista privata. Respiro ancora più profondamente, nessuna fotografia renderà mai quell'immagine scolpita nella memoria.
Mi rilasso, attendo fiducioso che le nuvole si diradino definitivamente.
Quando accade sono ormai circondato da una cinquantina di persone che esultano come un gol al novantesimo.
Non ci sono più solo giovani intorno a me.
La situazione non mi piace e così mi incammino verso valle. Sulla destra scorgo un sentiero e lo percorro senza pensarci troppo. Porta dietro alla montagna, è impervio, ma solitario.
E io ho bisogno di questo oggi.
In un'ora raggiungo una caverna nascosta, sovrastata da un tempio.
Non so nulla di quel luogo e così lavoro di immaginazione. Una pietra enorme è scavata come se fosse il trono di uno sciamano. Chissà quali riti avvenivano qui. Il tempio è ricoperto dalla vegetazione lussureggiante.
Inizia a intravedersi un po' di sole.
Dopo aver recuperato le energie rientro verso la città perduta. Sulla via del ritorno incrocio nuovamente il sentiero che porta in cima alla montagna. Ora il cielo è terso e così decido di compiere un ulteriore sforzo e torno sulla vetta. Ci sono meno persone e la vista è incredibile.
Trovo un angolo solitario e contemplo il paesaggio.
Decido che quello è il punto da dedicare alla memoria e qui in qualche modo prendo congedo. Prendo congedo dai pensieri di quel giorno, ora è giunto il momento di vivere Machu Picchu.
Cammino tra le terrazze, le abitazioni e i templi. La città è meravigliosa, il flusso turistico non è eccessivo come ad Angkor Wat in Cambogia per esempio. Ci sono tanti punti di interesse che è possibile godere senza fare la fila per una foto.
Il sole ora picchia, i gradini si fanno impegnativi.
Ogni angolo ricarica di energia tuttavia poiché regala scorci pazzeschi e difficili da immaginare.
Accanto a me lama e alpaca, gli unici autorizzati a vivere ancora questa antica città.
Mi fermo ad osservare i particolari: noto rocce gigantesche come mattoni di edifici.
Mi guardo intorno e vedo quanto ripide e anguste fossero i lati delle montagne.
Chissà come avranno fatto a trasportare tutte queste pietre fin quassù.
Chissà cosa avrà mosso la civiltà inca a costruire una città tra queste alture.
Tante le versioni, le storie, le leggende.
Sono a pezzi, esausto, il continuare a salire e scendere ha distrutto le mie gambe.
Ma resto fino all'ultimo minuto a godere di tutto questo.
Le nuvole tornano a coprire il cielo, presto inizierà a piovere.
La discesa è come la salita, con me solo giovani, io che sembro la chioccia. Sono felici e sorridenti, consci di aver conquistato un luogo magico.
E io sono con loro.
La pioggia lascia spazio a qualche raggio di sole, tra le montagne si forma un arcobaleno. Il sorriso iridato della natura è l'ultima immagine di quel luogo incantato.
Per me un ricordo indelebile di questo giro del mondo, di più, di tutta la mia vita.

E la fierezza di averlo conquistato nel suo giorno più importante.