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Una cima raggiunta è il bordo di confine tra il finito e l’immenso

salita al kilimanjaro

Sarà probabilmente il suo nome: Kilimangiaro. Sarà come svetta dalla piatta savana quell'unica montagna africana libera da ogni altra catena montuosa. Sarà che è  un vulcano, e un vulcano tra i più belli del mondo. Sarà per quell'anello di neve in cima e gli animali alla sua base. Sarà per un sacco di altre motivazioni ma il monte Kilimanjaro mi ha da sempre affascinato. Al punto che ho deciso di iniziare l'anno raggiungendo la cima del suo cratere.

 

Una promessa non mantenuta

Durante il mio giro del mondo senza aerei ho scalato diversi vulcani tra cui il vulcano Acatenango in Guatemala e il vulcano Concepcion in Nicaragua. Scalando il primo in due giorni sono arrivato per la prima volta nella mia vita a sfiorare i 4000 metri partendo da circa 2000 tra le colline di Antigua. La notte si poteva veder eruttare costantemente il vulcano De fuego da posizione davvero privilegiata. Il secondo invece, scalato in una sola giornata, era un ben piu modesto cratere a 1610 metri di altezza ma la scalata stessa era proibita poiché vulcano attivo e la partenza era a neanche 200 metri sopra il livello del mare. Fatto sta che, a parte la vista straordinaria dalle vette mi ero promesso di non fare mai più alcuna scalata ai vulcani. Perché? Per il semplice fatto che, a differenza di un trekking in montagna dove il sentiero è  un continuo sali e scendi, i sentieri per giungere in cima ai vulcani sono pendenze costanti che mettono a dura prova polpacci e articolazioni.  Ma a quella promessa avevo dato una dovuta eccezione. 

 

Il Kilimanjaro

E chi ero io per promettere a me stesso di non scalare mai un vulcano come il Kilimangiaro? Era l'unica eccezione perché quella singola montagna africana solleticava tantissimo il mio spirito e la mia voglia di sfide e avventura. La possibilità tangibile di raggiungere e sfiorare i 6000 metri attraverso un percorso molto impegnativo ma tecnicamente altrettanto semplice. Ed è cosi che, poco prima di Natale, mi viene paventata l'ipotesi di organizzare un viaggio di gruppo in Tanzania. "Che figata!" penso tra me e me, volevo fin da subito includere la salita proprio al Kilimangiaro, oltre ovviamente ad un safari come si deve e qualche giorno di relax in una delle mie isole preferite al mondo ovvero Zanzibar.  Leggo l'itinerario e mi accorgo che la salita è  prevista in soli 6 giorni. Dato che ho toccato con mano cosa significa portare persone a 5000 metri o poco più sulle Ande quando mi trovavo in Perú ho ritenuto che fosse saggio e prudente tentare autonomamente la salita e soprattutto testare sulle mie gambe cosa stavo per proporre: un mese più tardi, rientrato da neanche 28 ore dall'Australia ero nuovamente su un aereo stavolta in direzione Africa.

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I primi giorni di ascesa

Mi ritrovo quindi catapultato da Bondi Beach- Sydney dove tutte le mattine per otto giorni mi sono allenato correndo sulla sabbia morbida della spiaggia, a Moshi, graziosa cittadina africana ricca di verde e soprattutto dalle strade asfaltate e piuttosto pulite. Questo villaggio è il punto di partenza per quella che viene chiamata Marango Route, una dellle 8 vie per la salita al monte Kilimanjaro. Ho scelto la Marangu perché una delle più semplici e soprattutto una dove non fosse necessario dormire in tenda dato che stavo testando un viaggio di gruppo e non stavo realizzando solo un'impresa personale. Ammetto che, in quel caso, avrei provato salendo in tenda... Le prime due tappe tuttavia scorrono piacevolmente bene passando da 1800 metri slm fino a circa 3800. Dalla foresta pluviale popolata di scimmie fino ai boschi di montagna ricchi di topolini e corvi giganti. Faticoso indubbiamente ma se fossi stato maggiormente fortunato con il tempo la fatica in realtà non si sarebbe fatta più di tanto sentire.

L'arrivo in vetta

Dopo un giorno di acclimatamento a 3800 metri con la salita allo Zebra Rock, il quarto giorno inizia la giornata decisiva: salita al campo base a 4700 metri durante la mattina (sentiero agevole in un territorio marziano senza eccessivi dislivelli), pranzo e riposo pomeridiano e poi a mezzanotte la salita alla vetta a 5895 metri sul livello del mare. La mattina passa facile, davvero senza alcun problema ma già all'arrivo al campo base iniziano i primi problemi: un perenne e acuto mal di testa non mi permette di riposare bene nel pomeriggio. A mezzanotte è giunto poi il momento di tentare la salita con la mia testa impegnata a farsi mille paranoie riguardanti l'ipotermia (non so perché  ma ero convinto di patire chissà quanto freddo...), il diabete (questo effettivamente era un bel problema visto lo sforzo fisico richiesto) e il mal di montagna. Sì perchè nel cuore della notte a circa 5500 metri ho iniziato anch'io a soffrire parecchio. È pazzesco perchè il cuore ti va in palpitazione, il respiro si fa affannato e percorrere anche solo poche decine di metri appare come qualcosa di insormontabile. Ma il buio invece paradossalmente aiuta perché le sei ore di scalata volano e quando si scavalla il Gillmans Point tutto appare avere un senso. 

Il Cratere e l'arrivo a Uhuru Peak 5895 mslm

Un pianto ed una emozione pazzesca hanno dominato i primi minuti in vetta quando finalmente ho potuto riposarmi qualche minuto dedicandomi unicamente a contemplare l'alba da lassù in cima, a quasi 6000 metri. Esausto, senza forze e senza fiato ma felice, immensamente felice. Ma troppo stanco per raggiungere il picco massimo. Solo la mia pazienta guida Innocent è  riuscito, anche andando contro la mia volontà, a spronarmi e portarmi a raggiungere quel punto, lassù dove puoi guardare tutta l'Africa, un punto tanto alto da far venire i brividi. Lassù è sempre pazzesco. Ti dimentichi in un batter d’occhio di tutta la fatica compiuta, ti dimentichi di tutti gli sforzi e le imprecazioni, ti limiti come sempre a guardarti indietro e fissare quel piccolo punticino da dove sei partito. Lo guardi, lo osservi e poi pensi che fin quassù ci sei arrivato con le tue gambe ma ancor di più con la tua forza di volontà, con la caparbietà e la determinazione. È la testa a far la differenza, sempre. 

Viaggia con me 

Questa scalata è stata molto faticosa e molto impegnativa ma mi ha mostrato come possa essere nelle corde di tutti, ovviamente con un buon allenamento alle spalle. Quello che mi sento di consigliarvi è fare tanto allenamento cardio in modo da allenare il corpo ad andare in affanno: spinning e corsa in salita sono i migliori allenamenti. Bastano due settimane fatte bene oppure una settimana intensiva con almeno un allenamento al giorno. Se vuoi venire con me io ci tornerò a fine novembre con un viaggio pazzesco che include oltre all'ascesa, anche tre giorni di safari al Ngoro Ngoro e quattro giorni di relax sulle spiagge bianche di Zanzibar. Il programma lo trovi ovviamente sul mio tour operator SiVola.it ed è a prezzo scontato fino al prossimo 30 giugno.

I posti sono ovviamente limitati stanno già per esaurirsi.

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L'attrezzatura

Ormai da più di un anno sono fedele ambassador dei marchi Dolomite per le scarpe, Bach Backpack per gli zaini e Outdoor Research per abbigliamento tecnico e anche in questa avventura ho potuto contare su attrezzatura di primissima qualità e all'altezza delle aspettative e condizioni climatiche richieste. Nello specifico avevo con me: 

  • Giacca antivento
  • Poncho
  • Pantaloni fast dry
  • Calzamaglia
  • Magliette termiche
  • Magliette fast dry
  • Pile o maglioncino
  • Piumino  100grammi
  • Cuffia
  • Guanti
  • Occhiali da sole
  • Scarpe da trekking  in goretex
  • Sacco a pelo
  • Piccolo zainetto
  • Asciugamano in micro fibra
  • Camel bag da  2 litri 

 

Location (Map)

Immagina, e realizzerai. Sogna, e ti migliorerai. ...
#StopOver: 10 ore ad Amsterdam

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