By Trip Therapy on Venerdì, 20 Maggio 2016
Category: video

Viaggio per perdermi e per ritrovarmi. Forse alla ricerca di me stesso o forse per perdere quanto di me stesso non voglio.

L'Argentina è una nazione che prima ancora di visitare occorre viverla. Con la dovuta calma, non di fretta.
Le distanze sono enormi e c'è tanta pampa, ovvero pianura tutta uguale ed è praticamente senza alcuna apparente forma di vita umana. In realtà sulla strada capita di incrociare i gauchos, ovvero i pastori a cavallo con quell'inconfondibile coppola nera e i pantaloni ricoperti di peli di capra. Una scorta sicura li accompagna, ovvero alcuni cani, pastori anch'essi.

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La strada è lunga da Ushuaia, la fine del mondo, fino al nord della Patagonia, l'ultima parte rimasta per godere ancora di paesaggi montani sublimi. L'autostop qui non è facile come in Cile e il clima incomincia a farsi uggioso e realmente freddo.
Cedo al compromesso di un bus, sebbene i trasporti in questa parte del mondo siano i più cari incontrati finora nel continente.
I paesi che incontro sono tutti molto graziosi e ricordano i nostri villaggi di alta montagna, probabilmente a causa della grande influenza tedesca.
Bariloche è meravigliosa, soprattutto per la sua natura intorno al lago, ma è tristemente nota per aver dato rifugio agli ufficiali nazisti dopo la seconda guerra mondiale. Questo contrasto stride parecchio, soprattutto quando l'occhio e l'anima si perdono a contemplare l'armonia della natura circostante. Il cielo è grigio, piove spesso, ma i colori degli alberi d'autunno sono uno degli spettacoli più belli vissuti in questo giro del mondo.
Un giorno salgo sulla cima di una montagna, il cerro campanario e mi fermo a contemplarne la vista. È l'ultima cartolina dalla Patagonia degna di nota perché ho scarsa fortuna nella "ruta de los siete lagos", una delle strade più spettacolari dell'Argentina. Piove a dirotto, d'altronde è ormai autunno inoltrato.
Provo a fermarmi un paio di giorni a Villa Angostura e a San Martin de los Andes, ma invano.
Capisco che è tempo di volgere a nord e, complice un caro amico australiano in luna di miele in questo paese, mi dirigo a Mendoza.
L'arrivo di prima mattina è abbastanza traumatico. Una pioggia fina e edifici grigi. Le foglie degli alberi a terra. Un tram rosso.
La mente corre subito agli autunni milanesi e dopo una fugace malinconia rispunta il sorriso perché realizzo che sono qui per scoprire il mondo, viverlo, e non con la gola strozzata da una cravatta a vendere finanziamenti e obbligazioni.
È di questi giorni l'anniversario della mia partenza, due anni, trentacinque paesi e oltre 200.000 chilometri.
Solitamente non mi soffermo a guardare le foto della mia vecchia vita, le mostro a chi incontro nel mio cammino, ma nulla più.
No stavolta mi fermo a osservarla con attenzione. I chilometri li ho tutti li, non su una mappa, no. Nei miei occhi, nelle rughe del sorriso.
Guardo fuori dalla finestra, un timido sole appare tra le nuvole e le residue foglie gialle degli alberi.
Esco a fare un giro.
Mendoza è una bella città, con un parco cittadino gigantesco.
È da quasi tre mesi che non cammino per una città, l'ultima fu Santiago del Cile.
Sensazione strana, lo ammetto, dopo mesi in Patagonia.
Cammino per le vie del centro, ma poi alla fine finisco lì, nel parco cittadino.
Guardo gli alberi, i loro colori.
Da qui non si vede alcun edificio.
Sto meglio, forse avevo solo bisogno di tempo per abituarmi nuovamente al cemento e alle strade. Ad un luogo che per evadere non puoi farlo camminando perché ci vorrebbero ore.
Il giorno dopo ho una di quelle occasioni che capitano solo mettendosi in gioco e capitando nel luogo giusto al momento giusto.
L'amico australiano e sua moglie mi invitano ad una degustazione di vini per tutta la giornata. È un tour di lusso, di quelli che mai e poi mai mi sarei potuto permettere con il mio budget limitato.
Degustiamo sublini vini argentini: malbec, cabernet, persino un bonarda. L'armonia dei sensi coinvolti da questi calici riporta per un altro momento la mente all'Italia: qualche settimana prima di partire avevo aperto una bottiglia di vino speciale, una di quelle bottiglie importanti. L'avevo aperta e bevuta con quella che ritenevo essere una delle persone più importanti della mia vita. Una bottiglia di cui aspettavo una occasione giusta per aprirla. E poi mi sono ritrovato ad aprirla al momento dei saluti, troppo tardi per godersela davvero.
Ora sono qui con un caro amico dall'altra parte del mondo a brindare alla nostra vita davanti a calici importanti.
Perché non bisogna aspettare il momento giusto per aprire una grande bottiglia di vino. È la grande bottiglia di vino che rende l'occasione quella giusta.
Un po' come nella vita no? Il presente è ora, è inutile continuare a rimandare.

Brindo a me, a voi, al mondo.

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