Kathmandu

Sono arrivato dopo circa quattro ore dal confine catapultato nella caotica Kathmandu.
Il Nepal è sporco, povero e incasinato. Ma è bellissimo: per le vie della città si respirano profumi di mercati, di spezie, di cibi; gli edifici sono rossi e grigio scuro, ma vi sono tocchi di colore qua e là, tessuti, tende, oggetti di artigianato, maschere, ornamenti. Ovviamente negozi di souvenir ed elettronica, baba finti e guide improvvisate, ma il centro è ancora vissuto dagli abitanti locali, casta per casta, per cui si trovano ancora vecchi negozi e botteghe.


In tutto il paese convivono diverse religioni e i vari templi si susseguono per le vie e gli anfratti. Dietro ogni angolo si può nascondere un Buddha, uno Shiva, una stupe o un tempio induista. Sono generalmente preceduti da intensi profumi di incenso e preghiere, ma ogni volta è una sorpresa.

Alloggio in Freak street anziché la più turistica Thamel e dopo pochi minuti la prima bella sorpresa: su consiglio di un’amica trovo alloggio in una guesthouse in centro, non hanno camere dormitorio così prendo una doppia uso singolo. Prezzo per una stanza che, visti i miei standard attuali, mi è parsa subito una reggia: poco meno di tre euro a notte. La zona dove mi sistemo è molto bella, a pochi metri dalla famosa Durbar Square, nel pieno cuore pulsante della via.
Freak street è stata la via protagonista negli anni ’70 dei viaggiatori che percorrevano la via della seta, arrivavano in India e poi chiudevano il loro viaggio perdendosi per le vie della capitale nepalese. Erano hippie ovviamente, e quasi tutto si è perso di quei momenti. Resta l’Hotel Eden, ambientazione del romanzo “Flash.Katmandu il grande viaggio”, un cult di quegli anni, e poco più. Alcuni cafè sono rimasti tali e quali a quegli anni e l’atmosfera al loro interno è particolarmente bohémien. Ora è una via turistica come altre in città, ma, forse per tradizione, continua ad essere frequentata da viaggiatori, più che da turisti.
Incontro dei ragazzi provenienti da Austria, Slovenia, Inghilterra, India e Stati Uniti. Per molti Kathmandu è un arrivo, per altri una partenza. Si parte da qui per ambientarsi nell’area indiana prima di volgere verso il sud est asiatico. Si arriva qui dopo l’India attraverso la rotta inversa. Che cosa è per me Kathmandu? Teoricamente non è né un arrivo né una partenza in quanto mi trovo qui dopo neanche cinquanta giorni in giro per il mondo senza aerei.
Rappresenta tuttavia una nuova partenza, un cambio radicale nel mio viaggio.
Fino ad oggi ho viaggiato “di corsa”, sono stato pochi giorni a Varsavia, poi a Mosca, ho viaggiato tre giorni in treno per arrivare in Siberia, poi la visita in Mongolia ed infine la Cina ed il Tibet.
Non ho mai dormito più di tre giorni nello stesso letto. Il problema maggiore di quest’aerea di Asia sono le regole stringenti per la concessione dei visti e i costi vivi della visita stessa.
Entrando in Nepal ho ottenuto il mio primo visto alla frontiera e finalmente per tre mesi. Un paese economico ed un visto a lunga durata coniugano meglio il mio desiderio di integrazione e approfondimento delle realtà locali e indigene. Inoltre sta per arrivare il monsone e certi posti mi piace vederli nella loro bassa stagione, c’è più tempo per poter dialogare con i locali, entrare nei loro ritmi e ci sono poi meno turisti in giro.
Se voglio rispettare il budget mi serve fermarmi un attimo e riorganizzare questa seconda parte del viaggio fino in Australia tagliando tutte le spese superflue e incominciando a viaggiare lentamente.
Inoltre è giunto il momento di dedicarmi di più a me stesso: sono maggiormente interessato ora a dialogare meglio con il mio corpo e anima e a vivere relazioni umane più durature e radicate nei posti che visito. Questo nelle mie idee sarà il Nepal e l’India, dove penso di fermarmi fino a sei mesi prima di volgere verso il sud-est asiatico.

A Kathmandu mi sono perso per una settimana, tra lauti pranzi e lunghe dormite. Non mi sembrava vero spendere pochi euro per mangiare e dormire, quindi ho sfruttato i primi giorni per ricaricare un po le batterie e riposare la schiena. Ho girato la città in lungo e in largo, ma spesso senza videocamera a causa delle prime piogge monsoniche. Ho provato le delizie culinarie locali, i lassi, i nomo, il masala tea, e passeggiato per le vie tra Thamel e Durbar sq., fino a perdermi un pomeriggio nel giardino dei segreti: un oasi di pace e tranquillità al riparo da clacson, motorini, risciò e venditori.
Qui il tempo sembra essersi fermato, è tutto molto pulito ed in ordine, gli scoiattoli vagano liberamente non curandosi delle persone. Qui le giovani coppie vengono a scambiarsi promesse. È un posto piccolo, ma non avendo più i giorni contati mi sono fermato un intero pomeriggio a guardare la vita nepalese scorrere.

Kathmandu da un lato è cosi, vivi tutto lentamente.

Ma ora però è già tempo di ripartire, tenere corpo e mente in attività.
Per prima cosa ho preso accordi dall’Italia con una onlus che si occupa di un orfanotrofio a pochi chilometri dalla capitale. L’associazione si chiama Human Traction e si occupa della costruzione e sistemazione di un orfanotrofio ad Alapot dove sono ospitati circa una ventina di bambini: orfani e figli abbandonati da situazioni difficili famigliari. Mi trasferirò per un periodo da loro in campagna e mi dedicherò appieno in questa iniziativa che mi pare abbia tutti i buoni presupposti, credo che possa essere un’esperienza umana molto importante. È giusto che in questo periodo dedicato alle mie passioni e ai sogni utilizzi parte del mio tempo per poter aiutare gli altri.

Sento nuovamente una fortissima energia.