Il Messico è la più grande nazione del Centroamerica.
Te ne accorgi attraversandolo.
Mille diverse sfaccettature lo contraddistinguono.
Mille diversi colori, sapori, odori.
Il Messico che ho trovato a Oaxaca è quello che più si avvicinava al mio immaginario.

Dopo Città del Messico e i suoi ventidue milioni di abitanti avevo deciso di staccarmi un po' sulle spiagge di Puerto Escondido. Un luogo bellissimo, ma sempre più sfruttato dal turismo. Vicino c'era Zipolite, ma mi sono stufato di crogiolarmi al sole. Volevo tornare nell'entroterra.

Dopo qualche giorno eccomi quindi nella città di Oaxaca, a darmi il benvenuto una coloratissima piazza, strade in pietre grandi, chiese ad ogni angolo e bancarelle di cibo squisito ovunque.
Non mi aspettavo granché e invece ne sono rimasto piacevolmente colpito decidendo quindi di fermarmi qualche giorno in più.
Il Chiapas è ormai vicino e anche a livello naturalistico questa vicinanza si sente. Non ancora giungla, ma boschi e alte montagne. Tra queste valli alcune rovine Maya tra le più belle del paese. Il monte Albán, a pochi chilometri dalla città, è la città antica sudamericana più grande.
La sua imponenza è chiara al primo sguardo. Come il Partenone di Atene si erge su un monte e domina tuta la valle circostante.
Al suo interno diversi palazzi, templi e piramidi. Il sito è perfettamente conservato ed è facile perdersi per ore al suo interno. Mi fermo ad immaginare le scene di vita a quei tempi, prima dei conquistadores. Questo tentativo di ergersi quasi a toccare il cielo, la necessità di governare i fenomeni naturali che così condizionavano le vite di quei secoli. Conosco poco della religione Maya, ma mi rendo conto di come la natura giochi un ruolo importantissimo, determinante.
Ma Oaxaca non è solo il monte Albán e le sue rovine.
La sua energia e le positive vibrazioni che percepisco mi convincono a fermarmi qualche giorno in più. Decido di viverla con calma, senza sapere esattamente cosa fare, ma lasciandomi guidare dalle correnti universali.
Il secondo giorno finisco così a Mitla un vecchio villaggio sviluppatosi attorno ad un antico tempio Maya, divenuto poi azteco e sulle cui basi è stata costruita una chiesa dai conquistadores. Eccole le contraddizioni e le stranezze messicane di cui andavo ricercando. Non solo, nei dintorni vi sono indigeni che lavora tessuti creando con grande maestria tappeti geometrici bellissimi. I colori sono naturali, ottenuti grazie agli insetti che vivono sui cactus lasciati essiccare, i quali generano un rosso scarlatto e tutte le varie sue tonalità grazie all'aggiunta di succo di limone in diversi quantitativi; grazie ai fiori ottengono il giallo, grazie a noci le varie sfaccettature del marrone, grazie al muschio invece quelle del verde.
La gente del posto è cordiale e disponibile ed è chiacchierando in una taqueria che un ragazzo mi suggerisce di recarmi sulle montagne fino a Hierve El Agua. Non ho credito sul telefono, non posso controllare di cosa si tratti con google e decido di fidarmi e seguire il consiglio.
In questa parte d'America le correnti dell'universo tornano a farsi sentire e ancora una volta il lasciarsi cullare da esse si dimostra una scelta azzeccata.
Arrivo in cima ad una montagna, per vegetazione sembrano i nostri Appennini, ma la sorpresa è poco più giù. Un lago turchese mi accoglie e dalle sue acque ecco nascere una cascata che nel tempo si è pietrificata a causa dei particolari minerali contenuti nella sua acqua.
Uno spettacolo grandioso, il verde della selva mischiato all'azzurro dell'acqua in un lago e cascata color senape.
Sullo sfondo il cielo che da indaco sfuma al plumbeo perché in arrivo c'è un bel temporale.
Qualcuno cantava Messico e nuvole.
Io finalmente ho trovato ciò che stavo cercando.