Tramonto sul rio delle Amazzoni - Brasile

Il lusso del tempo. Credo che possa essere sintetizzato così parte del mio viaggio. Il potersi muovere lentamente, assaporando il raggiungimento della meta attraverso un percorso di avvicinamento costante e quotidiano. Da quando sono partito dalla costa atlantica fino all'arrivo a Manaus sono passati dodici giorni.
Ma in realtà l'inizio, il percorso di avvicinamento è stato molto più lungo.
L'Amazzonia, il luogo che più desideravo conoscere in questo lato del mondo.
La prima volta che misi piede in una giungla avevo ventiquattro anni. Ero con mio padre nella foresta pluviale australiana. Ero eccitatissimo all'idea, ma allo stesso tempo terrorizzato nell'appoggiare piedi o mani in quel luogo così carico di insidie.
Così credevo, ma mi sbagliavo.

Era stata un'esperienza forte e adatta a combattere certe mie paure, i serpenti soprattutto. Non fu niente di così drammatico e anzi, camminare tra quella vegetazione mi diede un senso di libertà difficile da spiegare. Fu uno di quei tanti momenti collezionati in Australia che mi hanno permesso di essere qui, ora.
Passarono gli anni ed ebbi l'occasione di visitare anche la giungla più antica al mondo, il Taman Negara in Malesia.
Non solo, anche la giungla del Borneo, quella della Thailandia, quella cambogiana. E ancora altre nel continente americano, dal Guatemala all'Honduras, passando per il Costarica e poi la Colombia fino più a sud in quella boliviana.
Non credete a chi vi dice che tutte le giungle sono uguali, non è vero.
Certo ad una prima impressione superficiale possono apparire così, ma la realtà è ben diversa.
Per esempio in Malesia feci un trekking di tre giorni dormendo in accampamenti improvvisati e nelle grotte. Per terra tuttavia le radici degli alberi erano dappertutto e lo sguardo era fisso li. Questo impediva una visione più completa dell'ambiente intorno. In Bolivia ero stato ai confini con l'Amazzonia stessa, ma la vegetazione non era così fitta come qui in Brasile.
Proprio qui, a pochi chilometri dalla città di Manaus ho trascorso un'altra esperienza indimenticabile del mio viaggio intorno al mondo.
Sono stato ospitato da una famiglia indigena e ho trascorso cinque giorni nella giungla. Ci si sposta in barca, attraverso la moltitudine di affluenti del Rio delle Amazzoni. L'acqua è nera a causa dell'elevata presenza di magnesio e per i sedimenti della giungla. In effetti mentre si cammina non sembra di camminare sulla terra quanto su nuvole di foglie.
Il passo è lento e morbido. Intorno alberi di ogni tipo, fonte di medicine naturali. Scopro che proprio qui anche i colossi farmaceutici prendono contatti con gli sciamani per scoprire nuove proprietà curative delle piante.

Il verde è intenso e contrasta con le acque nere e il cielo azzurro.
La stagione è perfetta, piove solo una volta al giorno e neppure tutti i giorni. Le acque dei fiumi sono quindi basse e permettono di scorgere facilmente gli animali, anche se l'impenetrabilità della foresta non aiuta in ogni caso gli avvistamenti. Con la mia guida, Thiago, decidiamo di effettuare trekking anche fuori dai circuiti tradizionali, aprendoci la strada a colpi di machete. È facile perdere il senso dell'orientamento in questa natura rigogliosa perché il sole si intravede sottile tra i rami degli alberi altissimi. Ma la forza di quei raggi che filtrano ha un impatto forte su di me, sui miei pensieri, sulla mia anima ormai stregata dalla Pachamama.
Fin dall'inizio del mio viaggio, fin da bambino avrei voluto essere qui, visitare questi luoghi ancora incontaminati.
L'aspetto che tuttavia più mi ha colpito non è stata solo la natura. È stato condividere questi giorni con la meravigliosa famiglia che mi ospitava. Gente onesta, lavoratori che organizzano le loro giornate in funzione del ciclo naturale. Il padre andava a pesca all'alba. La madre e la nonna cucinavano tutto il giorno. Il nonno organizzava i lavori di manutenzione nella fazenda, aiutato da un ragazzo che viveva li vicino.
I due figli maschi portavano noi, ragazzi per nulla avvezzi a quei luoghi, a scoprire la foresta, con un piglio ed una competenza unica, ma anche con tanta allegria ed un sorriso che mai mancava. La sorella andava a scuola, con una barchetta in legno, e la sera si occupava del piccolo nanerottolo di casa, il figlio di un loro cognato abbandonato dalla madre. Quella piccola peste era la mascotte della famiglia, girava a piedi scalzi per la giungla e si buttava da tutte le parti. Mi fermo a pensare a come le nuove generazioni di genitori privino i propri bambini di questa crescita naturale, ansiati come sono da mille paure e proibendone l'approccio ingenuo alla natura. Vedendola anzi quasi una minaccia.
Io fortunatamente non ho avuto genitori così, la natura mi hanno sempre insegnato a viverla e a rispettarla.
Ed è per questo motivo che oggi mi sento a mio agio anche in un territorio non mio, senza fermarmi a pensare ai pericoli e le insidie, ma godendo di ogni singolo momento trascorso in quell'eden.
E infine, come se non fosse sufficiente questa abbuffata di natura, l'ultimo giorno vi è una forte tempesta, acqua che scende da ogni dove, pioggia che così intensa avevo vista solo nel periodo dei monsoni in Nepal. Le persone che si radunano in casa, i cani che si stringono vicini per farsi caldo al riparo di una tettoia, le galline tutte unite sotto un tavolo.
E poi... poi tra un tuono e l'altro, un gemito sottile si fa largo. Dentro un vecchio forno in disuso trova riparo una cagna gravida che, forse con la complicità della pioggia, decide che è il momento di partorire i suoi tre cuccioli.
Eccolo il miracolo naturale, il miracolo quotidiano della vita. Mi brillano gli occhi e mi metto come uno scemo a danzare sotto la pioggia, d'altronde anche ai tempi della traversata in barca tra Panama e la Colombia la pioggia era benedetta perché ci permetteva una doccia rigenerante.
Guardo il mondo intorno a me, è uno spettacolo meraviglioso.