Quando viaggio mi concedo spesso visite a luoghi insoliti e per nulla conosciuti, un po’ per evadere dai classici itinerari turistici e un po’ anche perché mi piace il gusto della scoperta, del nuovo, del poter portare a casa un pezzettino della mia personale ricerca ed esperienza.
L’ultimo viaggio in Giappone non poteva assolutamente precludere qualcosa del genere specialmente poiché mi sono concentrato su una zona prettamente turistica e molto frequentata. Necessitavo l’insolito e non le abituali cartoline. Ho effettuato due volte il tragitto Tokyo - Kyoto, con soste nella città di Nara e al sacro monte Koya San.
Ma il Giappone non è una terra semplice per lo straniero: le barriere linguistiche innanzitutto, e non solo. I giapponesi sono giustamente molto gelosi della propria cultura e non è facile, in poco tempo, ritrovarsi a visitare luoghi e santuari fuori dalle rotte indicate dalle guide lonely planet.
Tuttavia per i miei viaggi di gruppo ho deciso di invitare con me una persona che ha dedicato tantissimi dei suoi viaggi alla terra del Sol Levante e che ha, in qualche modo, vissuto il Giappone a diretto contatto: Rudy Vianello. Era l’unico modo per offrire qualcosa di unico e originale alle persone che si erano affidate al sottoscritto per esplorare queste terre tanto affascinanti.
Rudy nella sua pagina e nel suo canale Youtube ha da sempre posto l’attenzione sul Giappone, cercandone di carpire i segreti e le stranezze.
Quando pianificavamo insieme l’itinerario ricordo che mi suggerì di dedicare un’intera giornata alla zona di Arashiyama vicino alla famosa foresta di bambù. Ricordo di aver letto che quella foresta non è un granché in realtà e inoltre, pullula di visitatori tutti i giorni a tutte le ore. Quindi ero scettico, ma Rudy mi disse che poco distante vi è una zona molto bella e poco visitata, dove, in cima ad una strada di collina, adagiato sul versante di una verde montagna, vi era un tempio del tutto particolare con circa 1200 statue di discepoli di Buddha, alcuni davvero buffi e divertenti in quanto tenevano in mano una racchetta da tennis, piuttosto che un walkman o addirittura intenti a bersi un sake.
“Che figata!” pensai, e così mi affidai totalmente al buon Rudy e alla sua intuizione.
Il viaggio in Giappone e le sue scoperte
In effetti la mattinata trascorsa nella foresta di bambù non mi ha entusiasmato, credo che in questo caso specifico i giapponesi siano stati molto bravi a creare un luogo turistico dove in realtà c’e ben poco da vedere e soprattutto la foresta stessa è una accozzaglia di gente senza senso.
Ma nel pomeriggio ci dirigiamo proprio verso alcuni templi meno conosciuti e quello che mi rimane più impresso è il tempio Otagi Nenbutsu-ji.
La sua storia è sfortunata e allo stesso modo molto affascinante: il tempio originale non fu costruito ad Arashiyama, ma nel quartiere di Higashiyama, nel 770. Essendo vicino alle acque del fiume Kamo, fu letteralmente spazzato via durante un’inondazione. Verso la fine dell’ottavo secolo fu ricostruito come appendice del santuario Enryaku-ji ad Arashiyama. Ma anche in questo caso non ebbe fortuna e fu praticamente raso al suolo durante una guerra civile. Ciò che rimase fu il salone principale, il portale e la sala Jizo. Nel 1922 venne trasferito dove si trova ora, ma nel 1950 un tifone lo abbattè.
Ormai a causa di tutte queste travagliate calamità naturali, l’Otagi Nenbutsu-ji si guadagnò la fama come uno dei templi più sfortunati del Giappone. Ma proprio per scongiurare eventuali future disgrazie si decise di allestire l’intero tempio con statue di rakan.
L’idea venne a Kocho Nishimura, capo del santuario. Questi, che oltre ad essere un monaco era anche un abile scultore, decise di far scolpire ai discepoli frequentatori del tempio la propria statua.
Sotto la sua guida presero forma oltre 1200 statue Rakan, che rappresentano i discepoli di Buddha, e furono collocate nel tempio tra il 1981 e il 1991. Ad osservarle sembrano molto più antiche ma ciò in realtà è dovuto al muschio.
MA COSA LE RENDE DAVVERO ORIGINALI E IMPERDIBILI?
Ogni statua è caratterizzata da un proprio stile essendo state realizzate da diversi scultori. La loro unicità deriva anche e soprattutto dalle espressioni e dalle pose dei soggetti: ci sono statue a testa in giù, statue con guantoni da boxe, chitarra, racchetta da tennis e addirittura due rakan che brindano alticci con una bottiglia di sakè. L’aggiunta degli oggetti è probabilmente identificativa dello scultore e della sua vita.
Un tempio dalla lunga storia, travagliata e sfortunata, che oggi gode di nuovo lustro proprio per l’intuizione di dargli un carattere ironico sebbene all’interno di un contesto assolutamente sacro che vi farà venire voglia, dopo esservi scattati gli opportuni selfies, di sedervi ai margini del santuario principale e respirare quell’aria tranquilla, meditativa, che solo un tempio poco conosciuto e visitato può darvi.
È facile perdere la cognizione del tempo e sentirsi soprattutto osservati da tutti quei volti ricoperti dal muschio: ci sono ovviamente anche rakan molto più seri intenti a recitare sutra, ma non mancano Rakan intenti a giocare con un gatto e addirittura uno con in mano un prosciutto, altri ancora sono intenti a schiacciare un pisolino.
Negli ultimi trent’anni il tempio ha vissuto un periodo tranquillo, quindi i Rakan stanno a tutti gli effetti adempiendo al loro compito con diligenza, ovvero proteggere l’Otagi Nenbutsu-ji. Nella speranza che gli stessi Rakan continuino nella loro missione di protezione dell’Otagi Nenbutsu-ji ancora a lungo.
Questo tempio insieme a tanti altri sarà la meta dei miei viaggi in Giappone nel 2019 tutti a cavallo della primavera e dell’hanami ovvero la fioritura dei ciliegi.
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