E succede che quando uno cerca forse non ha tempo di trovare.
E succede che all'improvviso arriva il Chiapas.
Una regione orgogliosa del Messico continentale. Una regione zapatista che fino a qualche anno fa reclamava indipendenza sotto gli ordini del sub comandante Marcos. Un sub comandante che comandava.
Sì perché il popolo poteva rimuoverlo al primo errore. Il popolo era a comandare. Ideologie che hanno avuto terreno facile in America Latina, tuttavia ancora latenti in virtù di governi corrotti e usurpatori.


Non di rado accadono ancora rivolte in questa zona come il giorno in cui ho deciso di lasciare San Cristobal de Las Casas alla volta di Palenque e i contadini in rivolta bloccarono la strada.
E così un altro giorno in questo ombelico del mondo.
Si, perchè San Cristobal è proprio questo. Un villaggio che mi ha letteralmente stregato. La sua musica, i suoi colori, la sua gente, la sua buena vibra. Un paese come tanti, ne abbiamo migliaia in Italia. Il problema è che i giovani non li popolano più.
Paesi meravigliosi con storia e tradizioni vissuti solo durante le vacanze pochi mesi l'anno.
San Cristobal è lo stesso: solo che è popolato da giovani e non, provenienti da tutto il mondo, tutti i giorni dell'anno. Da ogni angolo.
Ognuno con la sua storia, ognuno con la propria vibra.
Tra le vie del centro cafè che sono ritrovo di poeti e rivoltosi, musicisti e scrittori. Un piccolo palco e chiunque può salire. A recitare, a cantare, a declamare o a dire la sua.
Serate jazz, rock ed elettroniche.
Concerti di musica dal vivo nel cuore della notte dentro ad una panetteria.
L'energia di questo luogo è semplicemente pazzesca e trasuda nelle sue case color pastello nel centro di una valle lussureggiante.
Il turismo qui è presente, massiccio, ma per la prima volta non invasivo, pare rispettoso della cultura locale come un timido spettatore che si limita all'applauso finale dopo un'opera.
Intorno la natura è prepotente come forza: canyon, boschi, laghi e cascate.
Storia e cultura, come il villaggio di San Juan de Chamula dove all'interno della sua chiesa cristiana si praticano antichi riti maya sulla base di un sincretismo religioso che mai avevo potuto vivere nel mio giro del mondo. Gruppi autoctoni che permettono la visita, ma non la fotografia, quest'ultima ruba l'anima. Candele e aghi di pino per terra, al posto delle panche. Tanti santi uno in fila all'altro con uno specchio tra le mani. Il Cristo che è posto alla destra del Giovanni Battista, ben più importante qui in virtù della sua benevolenza verso l'acqua, vero tesoro di quest'area.
I locali vestono ancora tradizionale, gli uomini con il cappello, le donne con una gonna nera in pelo. Seduti per terra intonano canti intervallati da rutti per buttare fuori tutte le energie negative.
Guardo in un angolo, uno sciamano ruota un gallo sulle candele prima di torcergli il collo e sacrificarlo.
Sono affascinato da questi riti e da come le persone ne restano coinvolte. Non ne comprendo il motivo, d'altronde sono riti che appaiono privi di senso, ma viverli in diretta, potendo osservare la loro partecipazione, mi colpisce duro all'anima.
Pensavo di fermarmi solo qualche giorno invece quei pomeriggi, in cui le nuvole si facevano nere per poi scaricare una pioggia da rendere le strade fiumi in piena, prima di aprirsi al sole del tramonto, sono diventati diversi e non riuscivo più ad andarmene.
Quando lo feci mi diressi proprio a Palenque, poco lontano, nella giungla, alla scoperta di rovine maya di una bellezza mozzafiato. La giungla che come ad Angkor Wat ha permesso la conservazione di questo sito fino ai giorni nostri.
Giungla vera con scimmie urlatrici che nel cuore della notte fanno sembrare di avere un giaguaro dietro la capanna.
Il Messico che cercavo alla fine l'ho trovato, in fondo, nel sud, al confine col Guatemala. Un luogo in cui un giorno mi piacerebbe farvi ritorno.
Nel Chiapas, una regione che ho avuto il tempo di trovare proprio quando avevo smesso di cercare.