Casamance - Senegal

Dakar e la sua gente mi aveva presto stancato. La città è sporca, polverosa e con poco da offrire. La sua popolazione è arrivista e troppo abituata al tubab, al bianco, ovvero al bancomat con le gambe che cammina per le strade. Altro che taranga senegalese, ovvero l'ospitalità, la realtà è che ho trovato persone addirittura razziste e non mi sono mai sentito a mio agio.
Detto questo tutti i senegalesi conosciuti in Italia e nel mondo mi erano sempre apparsi brave persone pertanto l'unica soluzione era andarmene dalla capitale e cercare luoghi più genuini.


Decido di muovermi verso sud, al confine con Gambia e Guinea Bissau, ovvero nella zona del Casamance. Una persona conosciuta su internet tramite amicizie comuni è il mio contatto.
L'impatto appena arrivato nel porto di Ziguinchor è già ben diverso, le stesse persone quando notano la mia diffidenza mi dicono di dimenticare Dakar. Il viaggio è lungo e inizio a scoprire i 7plus, ovvero fatiscenti automobili famigliari da otto posti in cui si viaggia stipati come sardine. Arrivo nel pomeriggio e Massimo mi accoglie nel suo villaggio di Diembering, dove ormai vive da oltre dieci anni.
L'impatto è forte, decine ne di bambini mi accolgono col sorriso, ma niente richieste di elemosina, anzi. I loro sorrisi, i loro occhi con il bulbo bianco che risplende tra il viso ebano.
La situazione è di quelle giuste, alloggio in un campament bellissimo e raffinato a due passi da una spiaggia deserta e selvatica.
Massimo mi conduce nei giorni successivi alla scoperta del villaggio e come un Virgilio mi introduce a rituali e tradizioni locali. La sua è una storia interessante ed oggi è accettato come uno degli anziani del villaggio.
Le nostre conversazioni la sera sono piacevoli momenti tra viaggiatori, scambi di storie e vedute che mi hanno arricchito molto lo spirito.
Il popolo di Casamance è ben diverso da quello incontrato a Dakar, qui la gente ènfiera e umile. Ovviamente le truffe ai danni dei turisti sono dietro l'angolo, ma in questa parte di Senegal si limitano ad arrotondare un po' le mance o le corse in auto. Non c'è la pressione delle persone di Dakar, qui il turista è sacro e rispettato anche perché era un luogo fortemente visitato fino al 2007, anno della rivolta indipendentista. La popolazione ha capito che il turismo può aiutare e così i pochi bianchi presenti vengono rispettati. Ciò che più mi ha colpito in questi giorni è stato poter condividere con gli indigeni momenti privati come i pranzi e le feste. Ovviamente, con Massimo, godevo di una posizione privilegiata, non fosse altro per la lingua, ma c'è stato molto di più.
Non me ne sarei più andato da quei luoghi di pace e riconnessione, ma dopo i dodici giorni in cargo e quelli trascorsi a Dakar avevo bisogno di tornare a viaggiare, e di farlo con le mie gambe. Così dopo una settimana saluto Massimo e mi appresto a partire alla volta di Cap Skirring e poi verso l'est del paese, in una zona remota chiamata Pais de Bassari.
Ma proprio a Cap Skerring di nuovo le correnti universali a bussare alla mia porta.
Dovevo fermarmi solo un giorno per sfruttare un po' di buona connessione Wi-Fi, ma un guasto all'antenna ha prolungato la mia permanenza di ventiquattrore.
Le spiagge sono meravigliose, addirittura quella del villaggio è considerata la migliore dell'Africa occidentale. Ne approfitto quindi per passare una giornata interamente in spiaggia ad oziare, come non mi capitava da mesi ormai. Le onde dell'oceano non sono particolarmente alte, ma hanno una discreta forza e le correnti non sono da sottovalutare.
Proprio mentre gioco tra le onde mi si avvicinano tre persone, un ragazzo bianco con due ragazze locali. Sembra che stiano scherzando, poi vedo gli occhi di una di loro terrorizzati. Capisco che hanno bisogno di aiuto, sono in piena crisi di panico. La ragazza è quella messa peggio, non sa nuotare e in quel punto non si tocca. Mi trascina a fondo cercando di aggrapparsi e così provo a ricordarmi alcuni principi di soccorso in acqua dall'esperienza subacquea. Cerco di tranquillizzarla, ma le difficoltà linguistiche non aiutano. In più anche il ragazzo e l'altra ragazza iniziano ad essere in panico. Mi faccio forza, trascino la ragazza fuori dall'acqua e poi corro ad aiutare gli altri due. Stremato arrivo a riva, in pochi centimetri d'acqua. Mi ringraziano, ma la ragazza sviene. Così dalla spiaggia chiamano i dottori, nel frattempo si erano radunate diverse persone. Io avevo fatto il mio dovere, quindi mi giro verso il mare e torno in acqua. Mi accorgo che ero l'unica persone in mare per centinaia di metri. Se quell'antenna del Wi-Fi avesse funzionato correttamente oggi quella ragazza sarebbe probabilmente annegata.
Esco dall'acqua, tutta la gente della spiaggia mi ringrazia e mi da il cinque. Io non me ne rendo conto, vorrei solo sapere come sta la ragazza.
Fortunatamente la sera mentre cammino in paese vengo bloccato da una persona, l'ennesima della giornata giunta a congratularsi. Stavolta però noto che non è solo, con lui c'è la ragazza. È sorridente, mi ringrazia con le lacrime agli occhi, mi dice che non sapeva nuotare.
Io vado a letto felice, non so cosa mi porterà questo giro del mondo, ma oggi mi ha portato a salvare una persona. È già qualcosa per cui potrò dire che ne è valsa la pena.
Ma ora è anche il momento di tornare a viaggiare.