Monument Valley

Quando dieci anni fa mi ritrovai di colpo a casa, di ritorno dalla lunga esperienza australiana capitava di dover descrivere le sensazioni provate di fronte ad alcuni paesaggi della terra dei canguri.
Luoghi incredibili e unici da sembrare finti tanto erano belli. Come nei film, una scenografia studiata, tutto sembrava al proprio posto. E proprio dai film giustificavo questa mia eterna sorpresa: fin da ragazzini i film ci hanno portato in luoghi meravigliosi, ma pochissimi film avevano mai raccontato l’Australia.
Sostenevo che una volta davanti al Grand Canyon ci si sarebbe innamorati di certi scenari, ma l’effetto sorpresa non sarebbe mai esistito. Abbiamo imparato, nella nostra giovinezza, a vedere già certi luoghi grazie alla televisione. È un’immagine che abbiamo già nel nostro cervello, possiamo fermarci ad ammirarla, possiamo rimanerne incantati, ma sappiamo già quello che ci aspetta. Invece…


Ora sono qui, di fronte a questo paesaggio. Ci sono arrivato lasciando la caotica Las Vegas, di prima mattina. Ho attraversato strade desertiche e ad un certo punto mi sono ritrovato alberi ai lati delle strade. Nulla all’orizzonte sembrava presagire tale visione eppure il navigatore diceva che eravamo prossimi alla meta. Non mi ero neppure accorto di essere salito in altitudine eppure…
Eppure eccomi, di fronte a questa autentica meraviglia della natura, di fronte a questo altissimo canyon scavato negli anni da acqua e vento. Il fiume Colorado a malapena si intravede. Davanti a me rocce rosse, grigie intervallate da alberi e cespugli.
In qualche modo sapevo cosa aspettarmi oggi, quindi è vero, forse manca una parte di quell’effetto sorpresa che quotidianamente caratterizzava ciò che vedevo e ammiravo in Australia. O forse semplicemente la diversa età, oggi, mi permette di assaporare con maggiore maturità e consapevolezza l’incredibile paesaggio che ho di fronte.
Ancora di più di fronte alla Monument Valley. La fatica fatta per poter godere di quelle infinite praterie interrotte da enormi pinnacoli di roccia, quelle mesa rosse scure. Il mondo attraversato senza aerei mi scorre davanti agli occhi mentre mi fermo a contemplare tanta bellezza. Nella mia testa l’Himalaya, l’oceano Pacifico, la tundra siberiana, il deserto di Gobi, la grande muraglia cinese e poi, davanti ai miei occhi, a valle, un territorio tanto arido, ostile ed impervio, tanto da mostrarsi come sublime metafora di libertà.
Territorio sacro ai nativi Navajo, oggi attrazione turistica che, proprio come l’Uluru australiano, riesce tuttavia a mantenere nei secoli tale sacralità.
E che dire poi delle sfumature create in millenni dall’acqua nell’antilope canyon, un luogo a tratti magico, sicuramente morbido, sinuoso, avvolgente e armonico.
Mille le sfumature del rosso e il cielo appena intravisto color indaco.
Qui il cielo appena accennato, nella monument valley prepotente a definire un quadro maestoso.

Non ci sarà stata sorpresa nei miei occhi, ma commozione, quella sì, per uno spettacolo naturale unico.
Spesso mi chiedo quanto ancora il mondo abbia in serbo per me e a volte temo di non riuscire più ad emozionarmi di fronte a spettacoli naturali più modesti, ma non per questo meno toccanti.
Credo che faccia parte dell’effetto sorpresa, forse questo stesso svanisce, ma accresce in me, nei miei occhi quella consapevolezza necessaria per poter apprezzare ancora di più ciò che mi si presenta.
È come quando ci si innamora di una bella donna, all’inizio è tutta una scoperta, ma il meglio viene quando si scoprono quei particolari, un piccolo neo nascosto o un’espressione unica, ciò che alla fine ci permette di conoscerla davvero e poterne realmente apprezzare i dettagli.
Questa bella donna, che è il mondo, a me fa girare la testa.