Pashupatinath

Piano piano, giorno dopo giorno sto tornando a riassaporare quei momenti che ho trascorso negli ultimi anni a viaggiare, con una meta in testa, ma con lo spirito e il cuore aperto a mille variabili sulla strada. Le prime settimane a Kathmandu sono proprio questo, il ritrovamento di una sorta di equilibrio che io raggiungo solo una volta nomade. Una ulteriore consapevolezza nel sentiero della mia vita.

 

Pashupatinath è il più importante sito induista di tutto il Nepal, ed è antichissimo. La sua fondazione è legata a tante leggende tra cui quella in cui pare che Shiva un giorno assunse le sembianze di un'antilope e prese a giocare nella foresta sul lato est del fiume Bagmati. Gli dei lo raggiunsero prendendolo per le corna ed imponendogli di tornare ad assumere le sue sembianze divine, ma una delle corna si spezzò. Il corno rotto fu venerato come lingam, ma più tardi fu sotterrato e perduto. Alcuni secoli dopo un pastore vide che una delle sue mucche spandeva per terra il proprio latte. Il pastore iniziò a scavare in quel punto e riportò alla luce il lingam di Pashupatinath.

La sua intrinseca importanza è dovuta sostanzialmente alle cerimonie di cremazione che avvengono sui ghat, i gradini, che compongono le sponde del fiume Bagnati, il corso d'acqua che taglia in due Kathmandu.

Persino gli antichi membri della famiglia reale nepalese venivano cremati in questo luogo.

Ricordo che uno dei primi siti che visitai nella capitale nepalese tre anni fa fu proprio Pashupatinath. Premesso che non sapevo neppure pronunciare correttamente il nome, ero attratto più dalla sua nomea di “Patrimonio dell’Umanità UNESCO” che per il suo intrinseco valore spirituale.

Una nuova visione della vita e della morte

Fu il mio  primo approccio con la visione della morte nella religione induista. Il vero senso lo percepì poi a Varanasi, in India, quasi tre mesi dopo, ma quel primo assaggio fu molto importante. Mi fermai a chiacchierare con le persone come è facile da queste parti e iniziarono a spiegarmi della Moksha, della reincarnazione,dell’anima che soffre. Ma più di ogni altro della morte, come parte integrante della vita, come l’altra faccia della medaglia. Morte da accettare senza rassegnazione o disperazione ma come tributo supremo alla vita. Sono concetti molto distanti dalla nostra mentalità ma in un certo senso fecero breccia e quando poi mi ritrovai di fronte al tragico momento della scomparsa di mio padre qualche mese dopo, questa realtà così diversa dalla nostra mi aiutò a superare il momento e ad affrontarlo con la giusta accettazione.

Oggi torno a Pashupatinath e vedo i turisti che si fanno i selfie sulle sponde del fiume, elargiscono rupie ai foto Baba, parlano a voce alta calpestando la sacralità di questo luogo.

Molto è anche colpa del Nepal che non istruisce adeguatamente le persone su quello che li aspetta una volta varcata la porta principale.

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Io mi siedo in parte, in uno dei tanti tempietti sulla sponda opposta alle cremazioni. Mi fermo e osservo. Mi sembra di vedere un vecchio film: forse questo è davvero l’unico punto della città a non essere cambiato. Mi perdo a pensare, immaginare fin quando si avvicina un Baba, gli dico che non ho intenzione di sganciarli rupie per una foto e che non sono un bideshi, un turista.

Lui ride e si siede di fianco a me. Arma un chilum ed iniziamo a fumare. Mi racconta che questo è stato l’unico luogo di Kathmandu a restare perfettamente intatto durante il terremoto del 2015. Lui era lì, presente, che vedeva la terra muoversi e i templi restare in piedi. Nelle urla di disperazione che si sentivano dalla città Pasupatinath era rimasta intonsa.

Alla fine mi regala una collana di rudre, una specie di mala composto dalle noci di un frutto sacro a Shiva, e mi saluta dicendo che si ricordava di me.

Alla fine qualche rupia la ottiene, se è stato un bravo imbonitore sicuramente è riuscito nel suo intento, viceversa è la magia e la spiritualità di questo luogo ad aver fatto il resto.

Hari Om.