San Francisco

Le luci, i rumori, il lusso, il denaro, lo sfarzo, la finzione, la musica, il gioco d'azzardo, l'alcool, le prostitute, i tossici strafatti di crack.
Las Vegas, sin city. Mi ha sinceramente lasciato un grande vuoto questa città americana nel cuore del Nevada. È lo specchio della bigotta America. Un luogo dove tutto è concesso, nel bel mezzo di un deserto, mentre il resto della nazione proibisce con ipocrisia. È una valvola di sfogo, tipicamente americana.
Il mio viaggio riprende lasciandola alle spalle e sembra quasi magia poter attraversare dopo poche ore di strada la valle della morte. Un deserto aridissimo, dove non si vedono neppure cespugli. Il sole è accecante e il caldo opprimente. È desolante, ma paradossalmente trasmette tranquillità. Distese di roccia, terreno secco che apre piccole voragini, dune di sabbia dove finalmente tira un po' di vento. Un coyote pellegrino zampetta per una pianura sterminata. Di cosa si nutrirà? Come potrà abbeverarsi? Come sempre di fronte alla natura l'uomo si fa piccolo poiché se abbandonato a se stesso in un luogo del genere non sopravviverebbe che poche ore.


E ancora più piccolo si fa di fronte allo spettacolo naturale del giorno seguente: il parco naturale delle sequoia giganti. A poca distanza da una delle valli più aride al mondo si ergono infatti montagne che, ricevendo l'aria direttamente dall'oceano pacifico e la costa californiana, permettono la crescita di fitti boschi popolati dagli alberi giganti. L'aria si fa fresca, frizzante. Il paesaggio dall'ocra dirada fino ad uno smeraldo intenso.
Ai lati della strada appaiono i primi giganteschi tronchi e la visione del cielo indaco attraverso questi altissimi rami è leggiadra.
È uno dei parchi maggiormente visitati, ma l'impatto del turismo è lieve e non disturba.
Ciò che più mi ha colpito è stato il cammino all'interno del senato, ovvero un sottobosco chiamato così per la presenza degli alberi più grandi al mondo. Piante millenarie, capaci di sopravvivere agli infiniti cambi di clima e agli incendi frequenti di questa area. La potenza di madre natura è prepotente e straripante in questo angolo del mondo.
Mi siedo sopra le radici, poi mi distendo e mi perdo a intravedere il cielo.
Vicino a me passa un piccolo orso grizzly e mi preoccupa solamente il fatto che possa essere vicina la madre, ben più grande e pericolosa.
Ma è solo e dopo pochi minuti si allontana indifferente.
Vorrei fermarmi a lungo nel parco, il benessere si respira nell'aria, ma mi ritrovo sulla strada, verso San Francisco, verso la California.
A San Francisco giunsi per la prima volta dodici anni fa per un programma di studio grazie all'università con cui riuscii a trascorrere due mesi nel campus della prestigiosa università di Berkley.
Fu il mio primo viaggio intercontinentale e soprattutto il mio primo viaggio da solo, indipendente.
Ricordo perfettamente la frustrazione e l'ansia appena arrivato. Non parlavo bene inglese e mi ritrovai catapultato in una nuova realtà.
Ci misi pochi giorni ad ambientarmi e allora non capii ancora che quella frastornazione da arrivo sarebbe diventata nel giro di qualche anno la mia droga.
Tornare in questa bellissima città dai connotati europei era pertanto carico di significati. Stavolta ho potuto apprezzare maggiormente l'architettura e le strane vie in salita e discesa della città. Ormai ho attraversato tutta l'America del nord e questo mi ha permesso di cogliere maggiori sfumature.
Inoltre ho avuto la possibilità di trascorrere la festa di indipendenza americana a casa di un caro amico proveniente dalla mia città che da questa parte del mondo ha costruito una bellissima famiglia. Chiacchiere da viaggiatori, da compaesani, e poi abbracci sinceri. Bello vedere la realizzazione delle persone soprattutto quando provengono da una realtà provinciale e chiusa come la nostra.
Trascorro una giornata sull'oceano Pacifico, in una spiaggia vicino al famoso ponte Golden Gate.
Lo fisso, lo scruto. Di là dal mare vi è l'Asia e l'Australia, quella prima parte del mio viaggio. Nella testa scorrono le immagini di quei giorni e i pensieri si fanno malinconici.
Sono di nuovo dove un cargo mercantile mi ha scaricato due mesi fa dopo un interminabile viaggio di ventisei giorni, solo un po' più a sud.
Sono ancora qua, a guardarlo. A guardare quel l'orizzonte che per quasi un mese era sempre uguale, ma che pian piano si spostava.
Ora mi muovo proprio verso sud, con la testa verso quei nuovi orizzonti, ogni giorno un po' più in là.