La Paz

Finalmente di nuovo in viaggio, quello vero, quello fatto di scoperte e inconvenienti. Quello scomodo, crudo e reale.
Di nuovo una frontiera, dopo quasi due mesi. Una frontiera famosa, quella tra Messico e Stati Uniti a Tijuana. Territorio pericoloso, terra di narcotrafficanti e immigrati clandestini. Provo nuovamente le sensazioni lasciate in Asia in tutte quelle frontiere terrestri.
Un nuovo mondo davanti a me, il centro e il sud America, territori a me praticamente sconosciuti. Non solo, anche una nuova lingua, lo spagnolo, che non parlo come l'inglese, anche se riesco in qualche modo a cavarmela.
La prima tappa prevista è l'attraversamento da nord a sud della penisola di Baja California.


Arrivo in frontiera direttamente con un tram da San Diego e in pochi minuti mi ritrovo in Messico, a Tijuana. Non mi guardano nemmeno il passaporto, sono io ad insistere poiché diversamente non sarebbe registrata l'uscita dagli Stati Uniti.
Esco per la strada e immediatamente un tassista cerca di fregarmi affermando che la stazione dei bus era stata spostata a 20 chilometri di distanza. Non abbocco e procedo avanti.
Con occhi ben vigili arrivo alla stazione e salgo su un bus per Ensenada. Ho già visto Tijuana in passato e non credo meriti una seconda occasione.
Pochi chilometri, che dico, pochi metri e la vista cambia radicalmente. Il Messico in confronto alla vicinissima California appare quasi un paese del terzo mondo e questa profonda differenza mi ha fatto riflettere tanto.
Come è possibile che una frontiera, una linea politica, studiata a tavolino possa dividere così un territorio, le persone, il benessere?
Posso capire un mare, una catena montuosa, ma qui, nulla di reale divide realmente i due territori.
Il peggio tuttavia deve ancora arrivare.
Dopo circa tre ore arrivo a destinazione, in pochi minuti trovo una sistemazione economica e mi butto in strada ad esplorare.
Le strade sono dissestate e finalmente ritrovo bancarelle con cibo. Le sensazioni sono molto positive, ma si esauriscono in poche ore.
Cammino per oltre tre ore alla ricerca di qualcosa di interessante, d'altronde Ensenada è uno di quei posti da non perdere in quest'area. Non trovo nulla meritevole di menzione, ma la sera capisco perché è così famosa.
Locali, droga e prostituzione. I clienti? Tutti americani. Qui li chiamano Gringos perché quando hanno conquistato il Messico urlavano "Green (ovvero i marines), gooo!". Hanno rubato le terre migliori di questo popolo che negli ultimi cinquecento anni ha vissuto solo soprusi. E ora non posso neppure visitare le loro antiche terre poco più a nord.
Mentre i gringos si possono spingere a sud, portando i loro bei dollaroni e sfruttano ancora una volta in via implicita, ma per nulla latente, questa nazione.
Lo dico sinceramente, Ensenada mi è parsa la città più brutta vista nel mio giro del mondo.
Deluso al mattino mi alzo presto e vado verso la stazione dei bus. Prendo un biglietto per Guerrero Negro, nel bel mezzo del deserto.
Arrivo dopo sei ore, davanti a me rocce, pietre e cactus giganti. Alcuni arrivano ad oltre 4 metri di altezza. Cerco un alloggio, ma non trovo nulla di economico o accettabile pertanto lascio lo zaino in un chiosco di cocchi per avventurarmi un po' nel deserto e ripartire la sera verso la costa.
Cala il sole e davanti ai miei occhi, rosso e arancione che si stagliano contro il verde smeraldo dei cactus. La terra brucia sotto ai miei piedi e alcuni scenari sono da film. Cammino quasi tre ore, dopodiché rientro sulla strada principale dove sarebbe passato il bus. La strada è stretta e buia come la pece. L'unico posto di blocco smonta una mezz'ora circa prima dell'arrivo del bus e quindi mi chiedo come possa riconoscerlo e fermarlo. Fortunatamente l'autista mi vede sbracciarmi sulla carreggiata e mi carica.
Arrivo a Mulegè di primo mattino, il villaggio ancora sta dormendo. Su internet ho letto di questo villaggio come grazioso e con spiagge paradisiache.
Peccato che il paese è tutto fuorché grazioso, la gente scambiandomi per americano mi concede poca confidenza e le spiagge distano venti chilometri. Visti i costi proibitivi del bus l'unico modo per raggiungerle è facendo l'autostop, che qui è largamente praticato, e così mi ritrovo nel pick-up di un venditore d'acqua messicano. Fortunatamente è un ragazzo giovane amante del calcio è così riusciamo a legare e ottengo passaggi gratuiti per la spiaggia anche per i giorni successivi. Le spiagge sono quelle di Baja Conceptión e sono davvero meravigliose. Sabbia bianca ed acqua cristallina con cactus fin sugli scogli.
Non mi piace più tuttavia rosolarmi al sole senza far nulla e quindi dopo due giorni decido di scendere ancora più a sud verso Loreto. Sfrutto l'autostop e così risparmio un po' di soldi. Anche in queste zone remote, pur essendo bassa stagione i prezzi sono ponderati al turismo americano presente, pertanto sono costantemente fuori budget.
Loreto finalmente mi appare un villaggio degno di nota con una graziosa chiesa nella piazza principale e un piacevole lungomare.
Ma l'attrazione principale di questo luogo è l'isola di Coronado, proprio di fronte al villaggio.
Contratto un buon prezzo dopo un'estenuante negoziazione, ma l'esperienza accumulata in India in questo caso mi è servita.
L'isola è semplicemente bellissima con acqua azzurra e cristallina e spiagge bianche. Poco oltre il limbo di sabbia un vero e proprio bush immacolato che interrompe il bianco con un bel verde brillante. Gli scogli sono nerissimi e sullo sfondo le rocce ocra. Sopra di esse gli immancabili cactus per una immagine da cartolina. Attracchiamo in una piccola baia dove trovo altre barche. L'amara sorpresa è dietro l'angolo, ognuna di queste barche trasporta americani obesi armati fino ai denti di sigarette e lattine di birra. Scambiano questa spiaggia paradisiaca all'interno di un parco naturale per la propria piscina personale crogiolandosi in ammollo trangugiando alcolici senza una fine. Sbraitando e cantando.
Gringos.
Lascio Loreto con l'amaro in bocca per l'incredibile opportunità persa di poter essere un villaggio unico e autentico.
Sfruttando un buono di un autonoleggio riesco ad affittare un auto per la mia discesa verso il sud estremo, la punta di Cabo San Lucas dove il Mar di Cortez tocca l'oceano Pacifico.
Mi fermo sulla strada a Todos Santos, un paese di surfisti ormai divenuto un alveare di boutique hotel e finte gallerie d'arte. La spiaggia è bellissima e il villaggio piacevole, ma lo spirito originario si è completamente perso.
Non nutro aspettative verso Cabo San Lucas, la destinazione seguente, ma fortunatamente trovo un ostello popolato da ragazzi simpatici che mi permette di fare conoscenza e concedermi serate in compagnia. Cabo mi ricorda Las Vegas e qui è unicamente territorio americano. Cibo e alloggi alle stelle e spirito originario dilaniato.
Sfrutto la macchina a disposizione per girare e volgere verso spiagge meno battute e decisamente incantevoli, ma la vita da spiaggia mi stanca presto e così dopo due giorni mi dirigo a La Paz.
In questi giorni sono sconcertato poiché mi chiedo come la Baja California possa essere considerata una meta così appetibile dato che offre poco a prezzi esorbitanti ed escludendo completamente tutta la tradizione e cultura messicana di cui oggettivamente non c'è traccia.
Mi ricorda il mar rosso per certi versi, luoghi incantevoli devastati dalla furia turistica e tradizioni totalmente sradicate.
Fortunatamente La Paz mi riconcilia con questa zona del mondo. Questa città non è niente di che, ma ha un'atmosfera leggera ed informale che mi ha conquistato. Il lungomare al tramonto è semplicemente spettacolare e molto vissuto dalla popolazione locale. Il cibo è ottimo e finalmente non contaminato dai gusti americani.
Le spiagge a sud poi sono un'autentica perla. La baia di Balandra e Tecolote sono luoghi che restano impressi per sempre. Sono ampissime, l'acqua è azzurra e poco profonda. Intorno un territorio quasi marziano con rocce rosse modellate dal vento. Sabbia bianca a far da cornice, un'autentico spettacolo.
Essendo un luogo turistico prettamente per messicani questa zona mi ha riconciliato con il resto della penisola sebbene il giudizio sulla Baja California in generale non è positivo.
Il potenziale è alto, ma non bastano paesaggi belli quando manca la cultura e le tradizioni, sacrificati al dollaro verde, ai gringos.